Uscirono
dal bosco affaticati. L’ultimo tratto era stato particolarmente difficile,
scivolavano sul crocchiante tappeto di foglie morte. La bruma sbrindellata tra
i rami, sembrava ingigantire ogni rumore ed i loro respiri affannosi sembravano
dilatarsi e permeare il bosco. Ogni tanto si fermavano, il fiato sospeso, per
controllare che nessuno li seguisse. Poi riprendevano l’erta ed il faticoso
arrancare. Erano due uomini, una donna e due bimbi. Gli uomini portavano i
bimbi legati sulla schiena ed avevano una valigia per mano, la donna stringeva
al petto una borsa. Il cappellino di feltro, battendo ai rami, ogni tanto le si
metteva di traverso e la donna, puntigliosamente, si fermava appoggiava per
terra la borsa e se lo sistemava.
Uscirono dal bosco su di un coltivo, al di
là, tra alberi di fico ed un meleto, si intravedeva nella semi oscurità una
casa.
Qualcosa si mosse. Si bloccarono atterriti.
Spuntò un uomo, che fece col capo un cenno in direzione della casa e avanzò
verso di loro seguito da un giovanottello e, alla spicciolata, da tre ragazze.
Vennero loro incontro guardinghi.
Prima ad allungare le braccia per prendere
uno dei bimbi fu una ragazzona, con una grossa treccia dorata girata intorno al
capo. Poi l’uomo prese l’altro bimbo. Il giovanotto dopo aver loro rivolto un
mezzo sorriso li oltrepassò e proseguì nel bosco.
Quando entrarono in casa una donna, che era
accanto al fuoco si girò, vide i bambini ed in silenzio stese una coperta sulla
cassa della legna accanto al camino, poi aiutò ad adagiarveli e, con gesti
pratici ed amorevoli, li ricoprì coi lembi della coperta.
Nessuno parlò. Non avrebbero saputo che e
come dirsi di tutta quella paura, della fatica, dell’amore che li aveva
raggrumati da due punti tanto distanti dell’Europa.
Loro erano scesi lungo quel filo di
speranza e di solidarietà che guidava i perseguitati verso la terra promessa. E
qui avevano trovato rifugio da chi i patimenti della povertà li provava da
sempre. Una povertà che nulla toglieva alla dignità, alla capacità di donare,
di condividere, di amare.
Qualche anno prima il marito della donna
col cappellino di feltro, il Professor Radete, era stato ospite di un collega
nel perugino, per analizzare degli studi compiuti in parallelo nelle loro
rispettive Università.
Tornando a casa, aveva raccontato alla
famiglia delle dolci vallate umbre, dei boschi, della gente schiva, ma cortese
e le lunghe chiacchierate invernali, quando la famiglia si riuniva dopo cena,
erano state inframmezzate dai suoi entusiastici racconti sull’Italia.
All’inizio del conflitto, il Professore fu
prelevato da sconosciuti in clinica e di lui, né la moglie, né i fratelli
riuscirono più a sapere niente.
Poi fu la volta della cognata in visita ai
due figli in un collegio tedesco, anche loro sparirono senza lasciare traccia.
A quel punto la famiglia si radunò e fu deciso di tentare di raggiungere la
Palestina per vie diverse, in gruppetti ed in tempi diversi.
Partirono prima i vecchi con la famiglia di
una figlia.
Ruth, la signora col cappellino, decise di
rimanere coi due figli ad attendere il marito, nel caso fosse tornato. Rimase
anche Gore, il cognato più giovane e scapolo, che si sentiva in dovere di
aiutarla. E poi, dopo aver accompagnato a La Spezia in Italia, gli suoceri e
gli altri congiunti tornò anche Samuel.
Che con il violino in spalla e le foto
della moglie e dei due figli in tasca, faceva avanti e indietro dalla Germania,
nella speranza che i suoi fossero presso qualche conoscente.
Quando la situazione era precipitata, anche
il loro gruppo aveva deciso di partire verso il sud, volevano cercare di
scendere a trovare un imbarco in Grecia, ma qualcuno nel Montenegro riuscì a
fargli capire che Albania e Grecia erano anche più pericolose dell’Italia.
Così, trovato un imbarco clandestino, giunsero
a Fano.
Si diceva che gli alleati stessero per
liberare Ancona, così si ricordarono dei racconti del Professore e decisero di
raggiungere Perugia ed attendere lì gli alleati prima di avventurarsi per La
Spezia, dove stavano approntando la seconda nave comprata dalla comunità
ebraica.
Ritrovarono la villa dove era stato
ospitato il professore, ma era chiusa e tutto sembrava abbandonato. Nottetempo
entrarono in un padiglione estivo. Una giostra settecentesca, giaceva inclinata
su di un lato, i cavalli di legno, dai decori sbreccati, erano sparsi qua e là.
Gli uomini si sistemarono a dormire in un grosso cigno, la donna ed i bimbi in
un cocchio dalle marocchinerie consunte e strappate. E finalmente tutti
sognarono.
Non stranamente, tutti ebbero come filo
conduttore, la voce del professore che raccontava loro della villa fuori dal
vecchio borgo, con il parco, i padiglioni, les jeux d’eau ai cancelli ….
Si svegliarono con la sensazione che
qualcuno li stesse spiando. In effetti il fattore, che abitava non lontano
dalla villa, li aveva scorti la sera prima. Non c’erano dubbi, era gente che
stava scappando, da chi e da cosa non avrebbe saputo dire. Ma erano tempi bui,
c’era tanta gente che scappava, non conveniva fare domande.
Sulle prime aveva pensato di allontanarli
subito, poi aveva deciso di parlarne a sua moglie. Avevano tentennato tutta la
notte, non si parlava di ospitarli e cercare di nasconderli, ma tanto meno si
poteva fare finta di niente, la tenuta era troppo scoperta ed appetibile, ed
essendo poi proprietà di una famiglia ebrea, troppe persone la controllavano.
Loro non potevano mettere a repentaglio la
loro di famiglia. Però: “ anche ‘sti poveracci hanno con sé due creature”,
disse la moglie. Così avevano risolto di sfidare la sorte e dargli il tempo
di riposare e rimettersi in marcia
nuovamente col buio verso un rifugio più sicuro.
Il fattore aveva avvolto in uno straccio
una forma di pane e mezza caciotta ed ora, con il fagotto sotto il braccio, li
osservava dalla soglia del padiglione. Come si mossero, si avvicinò loro ed
incominciò a spiegargli che non potevano rimanere lì, che era troppo
pericoloso. I cinque lo guardavano,
sembravano non capire, ma i loro sguardi invece di essere spaventati,
sembravano fiduciosi, la donna trasse dalla borsa una foto e mostrandogliela
indicò l’uomo che era ritratto tra lei ed i bambini. Il fattore guardò
distrattamente, poi più attentamente: lui quell’uomo lo aveva già visto, già
era il professore ungherese che era stato ospite del padrone … gesummaria,
questi erano ebrei! Dovevano assolutamente andarsene, provava a ripetere, ma il
risultato non cambiava. Allora fece loro cenno di mangiare, di fare silenzio e
di non uscire. Appoggiò delle pagliarelle ai vetri del padiglione ed, uscendo,
delle assi alla porta.
Prese la bicicletta e si recò al borgo. Nei
pressi della torre abitava una studentessa che aveva aiutato il suo padrone ed
il professore ungherese a riordinare gli appunti. Era una ragazza serena,
cortese.
Il giorno che la famiglia del padrone era
partita per l’America, lei era venuta a salutarli, abbracciava la signora ed i
bambini, trattenendo a stento il pianto. Per questo il fattore pensava che di
lei ci si poteva fidare, non l’avrebbe tradito. Così, fingendo di portarle
della verdura, la pregò di recarsi al padiglione e di spiegare a quegli
stranieri, lei che conosceva le lingue, che non era possibile che rimanessero
lì. Le disse che probabilmente erano famigliari del professore ungherese.
La sera, quando raggiunse il
padiglione, la ragazza aveva già preso
accordi con degli universitari partigiani che avrebbero aspettato il gruppetto
fuori dal borgo e poi li avrebbero accompagnati sui monti fino alla brigata San Faustino.
Erano proprio i famigliari del professore,
li aveva visti in foto. Si presentò e anche loro la riconobbero nelle parole
del professore. Spiegò loro le ragioni del fattore e cosa aveva organizzato: di
raggiungere Perugia non se ne parlava, stava partendo una colonna di fascisti
scortata da repubblichini, in Toscana scorazzavano tedeschi in ritirata e
titini fuggiti da un campo di concentramento. C’era troppa sorveglianza e
tensione in giro. Più saggio risalire un po’ l’Appennino verso Bocca Trabaria e
stare calmi fino all’arrivo degli inglesi.
Attese con loro il calare delle tenebre e
poi li accompagnò all’incontro con i due ragazzi, i quali li caricarono su un
furgone e facendo la strada a fari spenti li portarono fino ad un costone sopra
Montone, dove terminava la strada ed
iniziavano i boschi fitti delle valli del Carpina. La Brigata era
impegnata altrove.
Attesero un po’, stava quasi per albeggiare
quando furono raggiunti da quattro uomini armati, che dopo aver parlottato con
i ragazzi, fecero loro cenno di seguirli.
Camminarono fino a che non fu proprio
chiaro, poi gli uomini fecero loro cenno di distendersi sulle foglie secche e
di mettersi vicini, vicini. Li coprirono con delle frasche e si allontanarono.
Loro non avevano neanche voglia di
guardarsi negli occhi, si aspettavano un colpo in testa da un momento
all’altro. Solo Gore incominciò sotto voce a raccontare una favola ai bimbi. La
sua voce sciolse piano piano i nodi di paura e la stanchezza fece il resto, i
bimbi si addormentarono. Gli adulti rimasero con le orecchie tese, fino a che
non udirono lo scarrocciare di un carro e l’ansimare dei buoi che arrancavano
non lontano da lì. Poi il frusciare delle foglie che si avvicinava e qualcuno
tolse le frasche, erano gli stessi uomini di prima, che fecero loro cenno di
seguirli.
Poco oltre un dosso, il bosco era
attraversato da una carrareccia e lì li aspettava un carro pieno di fascine.
Quando lo raggiunsero l’uomo che lo guidava scese e velocemente insieme agli
altri spostò le fascine, li aiutò a sdraiarsi sul fondo del carrettone e li
ricoprì. Un veloce saluto ed il carro ripartì. Viaggiarono per tutto il giorno,
verso le cinque, col buio che calava, dopo aver attraversato infiniti boschi e
tagliato varie carrarecce il carro si fermò, l’uomo spostò le fascine e fece
loro cenno di scendere. Scesero tutti ammaccati e doloranti. Erano su di un’aia
circondata per tre lati da una casa bassa. Porticine davano su antri scuri, da
cui proveniva la puzza di animali. Davanti all’unica porta in cima a tre
scalini c’erano una coppia con dei bambini che sbirciavano da dietro i
genitori. La donna scese andò dinanzi alla spaurita signora col cappello e le
disse qualcosa che lei non capì, allora indicò gli uomini che si erano messi in
fila contro un muro a fare pipì e le fece cenno di seguirla. Entrarono in una
porcilaia e la donna indicò la canalina di scolo, poi uscì. La signora si mise
la borsa sotto il braccio, disse al bimbo più grande di farla lì ed aiutò il
piccolino. Poi si guardò intorno e dopo aver messo la borsa in braccio al bimbo
grande ed aver ordinato loro di mettersi sulla porta a faccia in fuori, senza
spostarsi, finalmente la fece anche lei.
Quando uscì gli uomini stavano fumando una
sigaretta, Samuel fece cenno di rollargliene una, ma lei, visto lo sguardo
della contadina, disse di no e seguì la contadina dentro casa. Quasi dentro al
camino era seduta una donna vecchia ed incartapecorita. La contadina prese da
una credenza delle fondine le portò al camino e traendo con un ramaiolo la
zuppa dal paiolo incominciò a riempirle, le appoggiava davanti agli uomini che
entrati si erano seduti sulle panche intorno al tavolo. Poi servì la vecchia ed
i bambini, tese una scodella a lei ed una la tenne per sé. I bimbi mangiarono
seduti sulle ginocchia degli zii e le due donne in piedi accanto al fuoco.
Appena finito di mangiare la contadina passò i piatti con uno straccio. Poi portò Ruth insieme ai bimbi tutti in una
grande camera e le indicò un letto singolo. Sistemò i suoi figli nell’altro
lettone e si infilò nel letto anche lei. Quasi nessuno si era spogliato. La
signora tolse ai figli i cappotti ed i calzoncini, lei si tolse il cappotto, la
gonna e, stringendosi al petto il figlio piccolo, si infilò nel letto testa
piedi come la contadina con i suoi figli. Sentiva gli uomini di là cercare di
parlare, poi sempre più rare le parole cessarono del tutto e il contadino entrò
in camera e s’infilò nel letto di fianco alla moglie.
La mattina i vetri erano ghiacciati, si
alzarono tutti infreddoliti ed andarono in cucina. I cognati che avevano
dormito sulle panche avevano già riattizzato il fuoco e la vecchina aveva messo
nel paiolo del latte di pecora. Le donne ed i bimbi bevvero un po’ di latte e
mangiarono un pane basso comparso misteriosamente da sotto la cenere. Gli
uomini intinsero il pane in mezzo bicchiere di vino cupo. Poi ripartirono tutti
a piedi dietro il contadino. Dopo un costone ed un paio d’ore di cammino il
contadino li arrestò, tese l’orecchio, cambiò leggermente direzione e si
diresse verso un rumore sommesso di fuoco e di voci. Vicino ad un torrente, in
una piccolissima radura, c’erano una capanna, un grosso cumulo di terra che
fumava e due uomini che parlavano mentre attizzavano un focherello.
I carbonari diedero il benvenuto al
contadino e squadrarono il gruppetto che si portava appresso. Quando videro i
due bambini, tagliarono da un pezzo di carne secca triangolare due fette di
lardo e lo misero su di una gratella al fuoco, tirarono fuori da una sacca due
pezzetti di quel pane basso lo tagliarono a metà e ci infilarono il lardo
croccante. Bastò un cenno della madre, perché i bimbi li prendessero e
addentassero con gusto. La madre e gli uomini mangiarono il solito pezzetto di
pane intinto in due dita di vino. Fumarono una sigaretta e ripartirono.
Uscirono dal bosco e percorsero una lunga
valle alla fine della quale c’erano un mulino e due case. Quando arrivarono in
vista delle case uscirono diversi uomini armati, che, vedendoli, chiamarono
qualcuno all’interno della casa, che uscì ed andò loro incontro. Mano a mano
che si avvicinava ebbero l’impressione che fosse diverso dagli altri uomini tutti
neri con gli occhi scuri e non molto alti. Questo era biondo con gli occhi
chiari ed era un bel po’ più alto degli
altri. Come fu loro davanti si presentò: apparteneva ad un gruppo di
paracadutisti inglesi scesi in una valle poco più in là per preparare l’arrivo
del grosso delle truppe. Spiegò loro che erano stati portati lì, perché in quel
mulino si trovava fino al giorno prima una profuga ungherese, che parlava bene
l’italiano e che avrebbe potuto aiutarli. Purtroppo il giorno prima, mentre
loro erano già in viaggio, era stata arrestata a Gubbio. Quelli della brigata
erano andati a prendere lui, perché spiegasse loro la situazione e li spostasse
altrove, visto che lì potevano arrivare i tedeschi da un momento all’altro.
Disse loro che quella era una banda mista
di partigiani italiani e slavi e che, dopo una breve sosta, lui ed uno del
posto li avrebbero accompagnati in cima al monte dove, quasi certamente nessuno
li avrebbe trovati. Dovevano rimanere lì per qualche giorno, il tempo per lui
di cercare un contatto per Roma.
Loro si guardarono spaventati, erano
stanchi, non volevano andare a Roma, a La Spezia la comunità ebraica stava
allestendo una nave per la Palestina, gli dissero, comunque si rassegnarono a
seguirlo. I bambini erano distrutti, così con dei canapi e degli stracci i due
uomini si legarono nuovamente i nipoti sulle schiena e proseguirono il cammino.
Fecero, preceduti dall’ufficiale inglese e
seguiti da un partigiano umbro armato di moschetto, la salita più ripida della
loro vita. Per fortuna era quasi tutta in mezzo alla macchia, al coperto,
ciononostante ogni tanto si fermavano per tendere l’orecchio. Gli unici rumori
che captarono erano i passi leggeri e brevi di qualche selvatico.
Il cielo incominciava a scurirsi, si era
alzata una specie di nebbiolina che li bagnava e rendeva tutto scivoloso.
All’altezza di un cimitero di campagna l’ufficiale inglese li aveva salutati,
da lì alla loro meta finale mancava poco e a quell’ora era difficile che i
tedeschi girassero da quelle parti. Lui invece doveva camminare ancora due ore
in un’altra direzione e doveva passare un posto strettamente sorvegliato dai
tedeschi, per cui era meglio si separassero. Raccomandò loro di non muoversi da
quella casa fino a che non fossero tornati lui o la signora ungherese a
prenderli.
Il partigiano col moschetto si mise in
testa al gruppo e proseguì ancora per tre kilometri, poi all’imbocco di un
sentiero si fermò e fece loro cenno di proseguire. S’incamminarono mentre lui,
dopo averli osservati imboccare il sentiero, prendeva a scendere tagliando i
pascoli per un altro verso. S’impensierirono non poco, visto che a detta
dell’inglese avrebbe dovuto accompagnarli fino alla nuova destinazione.
Ormai la sera era calata quasi del tutto,
quando spuntarono sulla radura e l’uomo venne loro incontro.
La vista dei giovani che lo seguivano,
soprattutto delle ragazze li rassicurò ed, entrando, le cure amorevoli dalla
donna grande li confortarono.
<Rita> disse la donna < sono Rita,
sinte>
La casa era ancora più spoglia della prima
e lì, accanto al focolare, c’era un vecchio che armeggiava con pezzi di legno,
sgorbia e pezzi di pelle di pecora. Sì girò e fece loro un sorriso ammiccante
alzando timido un pugno chiuso.
Nel paiolo bolliva una minestra di erbe di
campo e patate. Rita, indicò alla donna e ai bambini un grosso sacco di iuta.
Quando vi si sedettero, sprofondarono in un crocchiare di foglie di mais, che
divertì molto i bimbi.
Cavandola da sotto la cenere, tirò sul
tavolo una grossa ruota di pane impolverato, la prese col grembiale e strofinò
via la cenere, poi dopo averla nuovamente battuta sul tavolo la divise a pezzi
con le mani. Cominciando dal vecchio ne tirò uno in grembo ad ognuno. Porse
loro una grossa ciotola di legno piena di minestra, disse qualcosa che Ruth non
capì, ma le fu facile comprendere che c’erano un’unica ciotola ed un unico
cucchiaio per lei ed i suoi figli, lo stesso era per la donna e le sue figlie.
Il vecchio, dopo qualche boccone, passò la
sua ciotola al figlio e questi al nipote, un’altra ciotola fu data a Gore e
Samuel. Mangiarono in silenzio. Nella stanza aleggiava un bel po’ di paura, ma
anche un pizzico di ribellione, di fatalismo e di gioia. Così quando il saccone
crocchiava, i bimbi ridevano e il vecchio, Rita e Gore sorridevano della loro
spensieratezza. Messo il fuoco sotto le braci insieme alla ciotola per il
figlio che doveva ancora tornare, Rita e le figlie si coricarono intorno al
focolare su altri due sacconi. Il vecchio e gli uomini scesero nella stalla
sottostante, avrebbero dormito sul fieno, vicino alle mucche.
La mattina dopo Ruth e Samuel fecero
preparare il loro gruppetto speranzosi di proseguire, ma Nello, il ragazzo che
era tornato nella notte con le direttive della Brigata, disse che avrebbero
dovuto aspettare lì fino a che a La Spezia non fosse stata pronta la nave che
doveva portarli in Palestina. Poi i partigiani avrebbero provveduto a fargli
passare il territorio umbro e toscano e li avrebbero consegnati ai compagni di
Carrara che li avrebbero portati al campo di raccolta per l’imbarco. Samuel
sapeva che i soldi per la seconda nave erano già stati raccolti, perché
dovevano aspettare ancora tanto tempo, che era successo?
Così … così …. così, come facciamo a
rimanere qui per un tempo indefinito? Si domandarono Ruth, Samuel e Gore.
Guardavano intorno: il vecchio, Rita, le sue tre ragazze, il marito, il
ragazzo, sembravano fare loro stessi una gran fatica a sopravvivere. La fatica
del ragazzo di spiegare agli stranieri gli ordini aveva permesso anche ai suoi
di capire a cosa andavano incontro e anche loro ora guardavano il gruppo di
stranieri con sgomento.
Fu il vecchio, per cui il pugno aveva un
valore, abbastanza nuovo e nello stesso tempo antico, che allungò una mano,
aprì bene le dita, e le richiuse a pugno mettendolo in mostra.
Si rivolse a Rita e disse: “non possono
andare per boschi così, farò loro degli
zoccoli.” “sì pa’, ma..” rispose abbassando il capo e cercando di non guardarli
“so quasi ‘gnudi e per il mangiare..?” “mmm, proprio tu lo dici, c’è sempre un
rimedio per tutto! Voi andate al bosco” ordinò agli uomini.
Samuel e Gore parvero capire e si
predisposero a seguire Gostì e Nello. Ruth invece si vide persa, che avrebbe
fatto? doveva badare ai bimbi, continuare a farli studiare, riempirgli la
pancia e coprirli. La prima e l’ultima cosa le sembravano le più difficili.
Nella loro fuga, avevano adagio, adagio
eliminato tutti i libri, avevano solo un simulacro dei rotoli delle Torah,
perché dov’è la Torah, là è casa. Qui non sembrava esserci la possibilità di
trovare neanche della carta ed una semplice matita. E gli abiti? C’erano quasi
cresciuti dentro in questi ultimi mesi di fuga e non erano adatti alla
montagna. Lei poi, aveva solo quello che aveva addosso. Era scappata con le
scarpe con la zeppa e le calze di seta arrotolate alle caviglie. Il cappottino
corto avvitato ed un cappellino. La borsetta sotto il braccio e nella borsa di
ritagli di cuoio, che usava per la spesa aveva infilato i ricambi per i bimbi
ed erano usciti come al solito: forse delle compere, forse delle visite … nella borsetta, oltre ai documenti solo un
fazzoletto. I cognati, che si erano mossi la notte prima, avevano infilato
nelle valige due coperte, un telo cerato e dei viveri.
Tutto lì, la Palestina era calda ed erano
attesi, i Balcani li avrebbero attraversati durante l’estate e a La Spezia
tutto sarebbe tornato alla normalità. Invece eccoli, al sopraggiungere
dell’inverno, in montagna con la prospettiva di rimanerci chissà quanto!
Chinò il capo e nascose il volto tra le
mani. “Dai, non serve disperarsi, tra il babbo ed il mio uomo, troveranno il
modo …” le disse Rita e uscì. La ragazza con la treccia le prese il bimbo
piccolo e messoselo a cavallo di un’anca, usci anche lei. Rita prese per mano
il bimbo più grande e uscì anche lei.
Una fila di vecchie pietre conficcate ritte
ed allineate nel terreno delimitava un orto, le due donne stavano lavorando lì.
Lei proseguì oltre un campo e si addentrò in un bosco di castagni. Incominciò a
raccogliere ricci e ad ammucchiarli ai piedi di una pianta. Il bimbo la imitò e
così tra la raccolta e l’osservazione delle erbe, si dimenticarono entrambi
l’angoscia di poco prima e si godettero la bella giornata autunnale.
Ad un certo punto la fame si fece sentire,
Ruth cercò bacche e foglie commestibili e riuscì a fermare un po’ lo stomaco
del figlio. All’altro, sperò, ci avrebbero pensato le donne nell’orto.
Quando il sole incominciò a calare
rientrarono tutti in casa, il vecchio aveva preparato degli zoccoli per Ruth,
erano caldi e stabili. Ruth poté dire addio ai sandali con le zeppe di sughero
tutte rotte. Samuel era stato bravissimo nel cercare di tenerglieli insieme, ma
il sughero si sfaceva e lei continuava a prendere storte. Passarono così alcuni
giorni, che sembrarono loro di riposo, anche se i sensi erano sempre all’erta,
la fame tanta, il freddo avanzava, mentre la possibilità di imbarcarsi a La
Spezia sembrava sempre più lontana.
Una sera, si sentì un richiamo da fuori e
fu aperta la porta, entrò ratto un uomo con un involto: “son due coperte, per
farne dei cappotti, l’inglese a detto che so’ mezzi ‘gnudi.” Disse porgendolo a
Rita.
“Che si dice giù?” chiese il vecchio.
“che hanno visto la Marion al San Marco col
Federale ed un tedesco.”
“Ma chi?”
“dei mulari di Pian di Balbano, che l’hanno
detto a uno che scendeva a Morena”.
“e ora?”
“si starà a vedere”.
Gli uomini rimasero tutti zitti. Il
sospetto del tradimento metteva più paura della certezza di uno scontro.
Ruth, Samuel e Gore, pur senza capire,
avevano captato l’allarme, la paura. In cuor loro speravano di veder comparire
l’inglese per portarli via, verso La Spezia.
Invece la mattina presto li svegliò un
rapido scalpiccio di scarponi, il vecchio uscì e parlottò velocemente con uno
del gruppetto di uomini armati, che altrettanto velocemente proseguirono.
Passarono due ore, il vecchio aveva chinato
il capo su un pezzo di legno che stava lavorando per farne degli zoccoli e
rifiutava ostinatamente di parlare con Rita ed il marito, che cercavano di
sapere cosa avesse detto quello del gruppo armato. Samuel e Gore fecero per
uscire a fare legna, ma il vecchio disse a Rita di fermarli. Rimasero tutti
intorno al fuoco, fermi e muti, solo Rita impastava del pane sulla madia.
Una raffica di mitra squarciò l’aria, ed il
respiro rimase sospeso nella stanza. I bimbi si strinsero impauriti a Ruth e
gli adulti si scambiarono occhiate preoccupate.
Il vecchio trasse un lungo sospiro e disse:
“qualche giorno fa i tedeschi hanno preso e
fucilato l’inglese”, non osava guardare gli altri, poi soggiunse “oggi i
partigiani della Montebello sono andati al Molinaccio a prendere la Marion e a
farla finita” scosse il capo e riprese il suo lavoro al legno.
Passarono ancora due ore nelle quali erano
tanti gli interrogativi che si ponevano le persone intorno al fuoco, quando si
aprì la porta e due uomini armati dissero agli ungheresi di prepararsi che li
avrebbero portati via loro.
Li avrebbero accompagnati fino al contatto
con una brigata più a Nord, passando per i monti sarebbero arrivati quasi a
Cesena, e poi avrebbero cercato di farli arrivare a Parma e da lì per la Cisa,
a La Spezia.
Rita cercò di capire per quante mani
sarebbero passati, quante probabilità avevano di riuscire a raggiungere la loro
nave, voleva capire per cercare di spiegare a Ruth, Samuel e Gore, per
tranquillizzarli. Loro non parlavano italiano, tanto meno quello stretto
dialetto dell’Appennino umbro-marchigiano, avevano paura, Ruth tremava, i bimbi
erano tutt’occhi.
Samuel fu il primo a realizzare che
dovevano seguire quegli uomini e cercò con parole calme, ma decise di spiegare
ai suoi. Misero le loro poche cose nelle valigie, coprirono i bimbi. I
partigiani li sollecitavano a sbrigarsi. Mentre Gore legava il piccolo sulle
spalle di Samuel, Rita che aveva preparato un piccolo involto con della polenta
fredda e delle fette di lardo, abbracciò stretta, stretta Ruth, e muovendo un
dito sul palmo della mano, accennò all’atto di scrivere, puntò un dito sul
petto di Ruth e poi sul suo. I partigiani stavano già uscendo seguiti da Samuel
e da Gore, quando finalmente Rita sciolse Ruth dall’abbraccio.
Quando tornò il silenzio e gli uomini
uscirono, Rita si rivolse al padre:
“oh ba’, ce la faranno?”
Il vecchio scosse la testa dubbioso.
Passarono tanti anni prima che il postino
si ritrovasse per le mani quella cartolina. La girò e rigirò, veniva da
Gerusalemme, era indirizzata a Rita di Sant’Angelo e portava due sole parole:
shalom Rita.
Che avrà voluto dire chi l’aveva scritta e
poi perché scrivere a gente che se n’era andata con la guerra, tutti fucilati
per rappresaglia.
L’avrebbe data al maestro di Col d’Antico,
la prima volta che l’avesse visto in paese. Il maestro l’avrebbe appesa in
classe ed i bimbi di Col d’Antico avrebbero visto com’era Gerusalemme.