lunedì 9 marzo 2009

Giornata difficile!

L’8 marzo è stato sempre, nella mia storia di donna, e nella storia di tutte le donne una giornata difficile.
Una di quelle giornate fraintese, dove quasi quasi più che al sistema maschilista ne voglio a quelle donne che festeggiano la loro pretesa indipendenza in pizzeria, adorne di mimosa a guardare un coglionazzo che fa lo strip tease .
Passati gli anni dei collettivi, dove le donne si mettevano a nudo per crescere insieme ed insieme portavano in piazza il loro dolore, i loro diritti e le loro rivendicazioni di parità, pur nella specificità del loro femminino.
Quest’anno
ho deciso di dedicarlo ad una persona che ha sempre disapprovato questo mio essere donna consapevole:
sono andata al cinema con mia madre.
Speravo che capisse, attraverso un mezzo da lei più amato del colloquio con altre donne, quanto poco c’era per tutti della felicità da lei tanto sbandierata nella società ante ’68. Speravo che potesse fare una serena (vista l’età) analisi dei suoi tempi di giovane madre, giovane sposa piccolo borghese e
provasse finalmente una scintilla di perplessità verso quel tipo di società che annullava le donne.
Speravo potesse provare un briciolo di empatia per una donna che, non da sola, si badi bene, ma insieme al suo uomo, progettava una vita “viva”.

L’ho portata a vedere Revolutionary Road.

La visione del film la deve aver turbata molto, perché incurante degli sguardi biechi degli altri spettatori, non ha finito un momento di stropicciare un giornale che aveva in mano.
Quando è finita la proiezione, il suo commento è stata veramente l’ultima drammatica scena del film:
“oh, ma che matta, non era mai contenta di niente, non sapeva nemmeno lei quel che voleva! L’attrice è brava ma mi è antipatica ”.

Da quel momento, ho pensato che veramente noi donne abbiamo un bel fermarci a pensare al nostro essere donne in questa società.

Ogni anno, una cadenza fissa di riflessione, riflessione sulla prevaricazione, la disparità di trattamento, i diritti negati, ma fino a che ci rifiuteremo di “guardare” alla nostra imbecillità, consentiremo ad una società maschilista e guerra-fondaia di plagiarci, di prevaricarci, di abusarci.
Fino a che non avremo occhi per guardarci, orecchie per ascoltarci, bocche per parlarci e cuore per amarci,
riempiremo le pizzerie e basta, con buona pace dei cosiddetti “benpensanti”.