domenica 1 dicembre 2013

con todo my amor para no olvidar



Per non dimenticare

Lui camminava davanti.
Lei non avrebbe voluto guardarlo così fisso, ma era un po’ che lui aveva cominciato a camminare più svelto, come se stesse seguendo dei pensieri che lo portavano lontano;  lei lo seguiva con passo più lento, sperando di conciliare il sonno del bambino, e lo guardava.
Guardava il suo corpo che si muoveva sciolto. Non aveva un oncia di grasso in più, le sue natiche erano alte, piccole e rotonde; la pelle aveva un’abbronzatura calda, i riflessi della peluria bionda, che lo ricopriva tutto, la rendevano dorata. Era una persona sana, elastica, splendente…
Si doveva essere accorto che l’aveva distanziata, così si fermò, i piedi bagnati dalla risacca, e, girandosi, le sorrise.
Il mare era azzurro e l’aria tersa da mozzare il fiato. Non c’era nessuno sulla spiaggia.

Quando erano scesi, tra le dune, lui aveva guardato il mare spalancando le braccia, poi, rapidamente, si era sfilato i jeans ed il maglione e di corsa si era tuffato.
Lei l’aveva guardato meravigliata: indossava solo i mocassini, un paio di jeans,  un maglione ed era febbraio.
Poi aveva notato il suo corpo. Quel corpo tanto amato.
Quando era uscito dall’acqua aveva corso lungo la battigia fino a che era diventato un punto piccolino e lei si era accoccolata sulla sabbia, aveva deposto il bimbo addormentato nell’incavo delle ginocchia e, col volto verso il sole, aveva chiuso gli occhi, sperando di dimenticare.
L’aveva ripescata dal dolore la sua voce, di fianco: e aveva riso tirandola sù.
Si erano incamminati e dopo un po’ lui l’aveva nuovamente distanziata.

La sera prima  era girata la voce che sarebbe arrivato, allora tutti si erano dati da fare per organizzare un asado nella casa sul mare.
La mattina, quando aveva raggiunto il gruppo, c’era già parecchia gente. Lo spirito  era tra la festa paesana e quella carbonara. Tutti avevano preparato qualcosa. Lei aveva preparato torte di verdura. Aveva messo le sue torte sul tavolone della cucina, insieme a frittate e pezzi di formaggio. Gli uomini erano fuori,  cuocevano la carne all’aperto sotto i pini, bevendo vino rosso. Nonostante fosse una festa, la gente si scambiava frasi brevi, sottovoce. L’istinto faceva dire solo lo stretto indispensabile e solo a chi ti era vicino.
C’erano un mare, una penisola ed un oceano tra loro, eppure continuavano a parlare sottovoce. Il terrore rimaneva.
Lui era rientrato dal parco. Navigava tra saluti ed abbracci.
Dopo essersi scambiati i primi saluti quasi euforici, gli sguardi faticavano a fermarsi in quelli degli altri. Poche parole, tanti sorrisi imbarazzati: c’era ritegno nel dire agli altri, paura di sapere, uno sguardo poteva rompere gli argini.
Così tutti erano stati contenti di entrare a mangiare. La cucina era buia, il tavolo era grande, si erano seduti tutti intorno.
Lei aveva sempre il bambino in braccio, così si era seduta in un angolo, il piatto sul bordo del tavolo, staccava piccoli pezzi di torta e li metteva in bocca al bimbo che, tra le sue braccia, giocava con le collane.

Ad un tratto lui le si sedette vicino e disse " dammelo così mangi anche tu ". Non glielo diede, ma si alzò ed uscì, salì le scale ed entrò nel salone. Anche lì le persiane delle portefinestre erano accostate, i mobili si indovinavano appena, ma tanto, sia lei che lui, che l’aveva seguita, li conoscevano a memoria. 
Incominciarono a camminare avanti ed indietro, fianco a fianco, in silenzio.
Il bimbo ronronava mentre si addormentava e tra loro c’era sospeso un silenzio, un arco di silenzio, che era durato anni, ma che non aveva mai spento il loro muto cercarsi.
Camminavano nell’ombra e si sentivano, come se si accarezzassero. C’era languore  nelle membra, nello stomaco; c’era un’infinita tenerezza.
Dopo un po’ la voce di lui disse, come se non avesse mai interrotto il discorso "mi vergogno, ma son dovuto tornare in Italia, debbo riposare un po’.  Speravo di mimetizzarmi e di poter riprendere fiato, invece è stato peggio che essere in vetrina, mi basta  una semplice occhiata per farmi star male. Non ti dico il clima in facoltà. Sono andato a parlare con una mia ex-compagna di corso, lei ha il padre ingegnere, colonnello nel Genio, speravo mi desse una dritta per riuscire a lavorare in pace. Invece mi ha detto che anche i suoi fratelli hanno dovuto andarsene, uno è a Copenhagen e l’altro non ricordo dove in Messico. Quando ho chiesto che ne pensavano lei e l’augusto genitore, di questa caccia alle streghe, lei mi ha risposto : ”papà dice che por algo serà”, e poi ha cambiato argomento ".
"tu come stai ora?" l’interruppe lei mettendogli una mano sul braccio e fu come se partisse un grande abbraccio.
Non smisero di camminare, lei rimise subito la mano sotto il sederino del bimbo, ma furono come racchiusi in un bozzolo pieno di carezze, di baci. C’era un calore che correva nelle viscere e sulla pelle, così forte che fu quasi insopportabile, lui si avvicinò ad una portafinestra, la aprì, aprì le persiane e fatto un passo sul terrazzo si voltò e disse "sembra bello, andiamo sulla spiaggia" .
Si zittirono guardando il pavimento, udivano le voci degli altri nella cucina,
 " da soli" aggiunse lui.
Uscirono, attraversarono la costiera e s’inoltrarono tra le dune.

Ora lei lo guardava camminare davanti: era perfetto; non voleva saper cosa gli avevano fatto, non vedeva il suo ventre.
Era lì, era vivo.
Quando lui si fermò ad aspettarla, lei tenne gli occhi fissi sul suo volto. Aveva sempre avuto gli occhi azzurri, color dell’acquamarina. Si possono incupire gli occhi azzurri?

L’aveva appena raggiunto,avrebbe voluto baciarlo, ma una voce li richiamò dalle dune. Tornarono sui loro passi e, mentre lui si rinfilava i jeans, lei lo precedette ed arrampicandosi su di una duna, si trovò davanti dei piedi. Alzò gli occhi lentamente, per non perdere l’equilibrio, e scorse una mano tesa ad aiutarla. I suoi occhi continuarono a salire fino a che incontrarono quelli di Felipe.

E seppe che lui era perso. Erano gli occhi del basilisco.

Non l’ha più rivisto. La casa è stata venduta.

Sono passati trentanni e le madri locas di Plaza de Mayo, sono diventate las avuelas che duran a perseguir…..

Con todo my amor para no olvidarte.


sabato 21 settembre 2013

girano le stelle nella notte ed io...



Notte di luna piena, 
notte insonne.

Sarà per il caffè serale, per la luna, sarà per aver ascoltato il discorso (per fortuna solo in parte!) del delirante.

Mentre lo ascoltavo cercando di non incavolarmi troppo, mi è venuto in mente un servizio fatto diversi lustri fa in Croce.
Rientravamo da un servizio stanchi e provati nello spirito, i nostri vent’anni sentivano l’esigenza di riprendersi; quando l’autista, guardando nello specchietto retrovisore, ha visto che ci seguiva una Ferrari e ce l’ha comunicato. Improvvisa si è accesa nella testa di tutta la squadra una lampadina: fermiamolo, carichiamo lui e gli prendiamo le chiavi della Ferrari, poi lo portiamo al Paolo Pini (manicomio milanese) e diciamo che dà in escandescenze perché è affetto da manie di grandezza, prima che gli credano facciamo a tempo a farci una nottata brava con la Ferrari! Un mare di risate ed il groppo in gola se n’era andato.

Perché in questi anni nessuno ha mai pensato di fare lo stesso scherzo al nano?
Come quando se la tira dicendo: “cercano di eliminarmi per via giustiziaria”. Come mai, in 20 anni, nessuno l’ha eliminato semplicemente per via?

Ma, forse tutti quegli italiani che lui reputa solo dei coglioni sono più saggi di quanto si creda.

Ecco, la mia serata si è imbastardita così, i disagi si sono sommati ed hanno scacciato totalmente il sonno.

Così la testa cerca rifugio nei ricordi belli e tornano in mente il cielo stellato sul mare, l’aria salmastra e le parole di una vecchia canzone:

Girano le stelle nella notte ed io
Ti penso forte forte e forte ti vorrei …
Non conosco la ragione che mi spiegherà…
E se il cuore batte forte non si fermerà …
C’è una luce che m’invade ed io non posso più dormire
Mi sconvolge l’emozione e non so perché …
Scoppia nella notte il sentimento mio
Ti sento forte forte e forte ti vorrei



mercoledì 11 settembre 2013

nell'orto



Molto, molto difficile riprendere in mano un discorso che è scivolato via come la sabbia tra le dita.
E’ un giorno di  dolore, di ricorrenze infauste, che vorrei avessero insegnato il valore di una vita dignitosa, secondo i valori di base e non quelli di mercato o della sopraffazione. Avrei tanto voluto che quelle morti fossero riscattate dall’insegnamento che il mondo poteva trarne. Invece sono state usate per portare avanti un discorso di sopraffazione, di interessi, tanto da svuotarle di senso.
Così ricomincio dal piccolo privato di un piccolo essere. Vorrei parlare del mio periodo “out”, della fatica di non perdere i contatti con una realtà che non capisco più, che non condivido, vorrei parlare della speranza di non svegliarmi più, del senso di disperazione che mi accompagna da lunghi mesi e di quel sottile filo che mi tiene ancora legata alla vita. Vorrei parlare di questo andare come i gamberi, un po’ avanti, un po’ indietro, così-così di lato, nell’attesa di un risveglio generale, che torni a dare un senso al vivere.
Durante le giornate in cui vado di lato, cerco di fare delle cose che mi leghino alla terra, alla natura. Non riesco ancora a fare le lunghe passeggiate che mi rimettevano in pace col mondo, sto nell’orto. Il mio orticello sinergico con le aiuole alte di vitalba intrecciata, dove verdure e fiori si confondono.  Accarezzo le aromatiche per avere in cambio un po’ del loro meraviglioso profumo. E contemplo le foglie una per una.
Quest’anno ho condiviso l’orto con vari animali: di una proda di insalata abbiamo fatto a metà un giovane capriolo ed io. Aveva una predilezione per la gentilina; entrava nell’orto dalla parte del bosco, mangiava e quando se ne andava, bramiva. Non ho capito se chiamasse anche gli altri alla mensa o se mi ringraziasse. Che era giovane sono sicura perché il suo era un bramito gentile e quasi sommesso, non come quello osceno dei maschi quando cercano la femmina.
Poi ho giocato a nascondino con un esercito di lumache di tutte le dimensioni.  Con loro il gioco finiva con un bel lancio nell’erba al di là della siepe di “spini” ed era stancante solo per il numero di lanci. Invece con i grilli talpa, con le nottue e con i ramarri è stata un’avventura, che spesso finiva male per loro, perché Cocca la mia cagnolina-ombra, li seccava, convinta di farmi un favore.
Per fortuna che, nonostante volesse a tutti i costi compiacermi, non ha mai superato lo schifo di addentare un rospo, così Clodoveo ha avuto il tempo di prolificare. Mi sto ancora domandando dove, perché quando eravamo in Liguria, vedevo galleggiare nel torrente i tubicini trasparenti con dentro le uova, ma qui il torrente è proprio un torrente, va in secca con la stagione calda. Per cui dove avrà messo i suoi tubicini?
Non ho mai visto tante farfalle come quest’anno, ce n’erano parecchie di vari colori, ma centinaia bianche. In certi momenti a guardare il campo davanti a casa era tutto un tremolìo di ali bianche. Chissà come mai? Anche l’orto era pieno di ali, oltre a loro c’erano un sacco di aleurodidi voracissime, di altiche, di dorifere, maggiolini e cetonie. Una grande ansia da parte mia nel cercare di distinguerle dalle ausiliarie e benedette coccinelle e crisope. Poi:  lavare via gli insetti dannosi, ucciderli o rispettarli in quanto parte di un sistema che è anche il mio?
Intervenire in Syria o no? Perché non rispettare anche nelle peggiori espressioni la loro individualità, i loro tempi di maturazione? Noi non siamo diventati democratici in tempi brevi. E poi quanto è civile questo nostro essere? Non usiamo più il sarin o la pirite, ma continuiamo a produrli per poterne trarre profitto. Dov’è la differenza?
Ora che ci sono già alcune aiuole invernali coi vari tipi di cavoli, passo il tempo il tempo a controllare le foglie una per una, lavare via le uova della cavolaia e raccogliere i bruchi della stessa.
Ogni tanto mi fa compagnia un biacco bellissimo. Ci incontriamo sempre per caso. L’altro giorno un suo giovane discendente, che aveva solo la testa colorata e due grandi occhioni, è entrato in casa. Per fortuna la mia amica, che l’ha trovato scopando il portico, non si è spaventata, così l’abbiamo messo dentro ad un barattolo per vederlo bene e poi, visto che già abbiamo un rappresentante della specie nell’orto, siamo andati a liberarlo vicino al fiume di fondo valle. Il terreno lì è abbastanza coperto dagli alberi per permettergli di sopravvivere ai rapaci.
Dopo un inverno di cornacchie (che io chiamo Totò, perché ci assomigliano proprio!) quest’estate è stata la volta di una coppia di rapaci che ha addestrato al volo e alla caccia il suo piccolo. Proprio sopra le nostre teste.

Difatti è parecchio che fra il biacco ed i rapaci, non vediamo topolini. L’ultimo è stato il topolino dal dorso rosso.  Ma questo è un altro discorso.

giovedì 14 marzo 2013

Lettera aperta ai compagni catto-comunisti


Lettera aperta ai compagni catto-comunisti




Cari compagni,

ho letto ieri che siete molto contenti che questo nuovo Papa venga dalle Americhe e che abbia scelto un nome evocativo di una vita spesa al servizio dei poveri.

Primo, vorrei ricordarvi che politicamente un nome non corrisponde sempre alle promesse, per cui è presto per esultare.

Secondo, questo Papa viene dalle file dei Gesuiti, i Soldati di Dio, ai quali dobbiamo Inquisizione e Guerre di Conquista in nome di Dio. Non a caso non hanno ripudiato ufficialmente il recente “Gott mit uns”.

Ma queste sono cose abbastanza remote e allora torniamo ad un passato più recente:

Congresso di Medellin, 1968. La Chiesa sudamericana, tutta, discusse sulla necessità di adottare la Teoria da libertaçao. Vinse la componente legata ai poteri forti e non fu minimamente presa in considerazione.

Personalmente ho incontrato, all’Aeroporto di Fiumicino, uno dei partecipanti inviato a spiegare all’allora Papa cos’era questa Teoria e a chiederne l’ intervento. Se ne andava, dopo un fermo diniego, molto abbattuto e mi ha consegnato una copia che aveva portato in più a Roma da dare a chi avesse voluto perorare la causa della Chiesa dei poveri.

Ho ancora quella copia, che, coerentemente, è rilegata in cartoncino grigio, battuta a macchina. Per noi a Nuova Ostia, all’Acquedotto Felice e nelle altre Borgate romane dove eravamo impegnati con i preti operai, era già realtà.

Il sogno della Chiesa dei poveri è stato schiacciato e buttato via dal Potere della Chiesa dei ricchi.

Spero che questo nuovo Papa, essendo maturato, riveda la posizione tenuta dalla sua Chiesa a Medellin e ci stupisca , riprendendo in esame la Teoria da libertaçao, non sarebbe meno di quanto fece Woytila quando parteggiò apertamente per il Movimento Operaio Polacco.

Piccoli passi, che una Chiesa conservatrice, dovrebbe a chi crede in quanto insegnato e messo in pratica da Cristo e dal suo seguace Francesco.