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venerdì 14 febbraio 2014

ho danzato da sola con un bilione di donne


14 febbraio 2014

Oggi la melensaggine consumistica è stata soverchiata dalla forza di un ballo corale:
1 bilione di donne ha ballato per protestare.
1 bilione di donne in tutto il mondo si è unito per protestare nel modo più antico.

L’unico modo che i deboli e gli oppressi hanno da sempre usato, anche in cattività, 
per far sopravvivere la speranza, per protestare,
 hanno danzato  unite per ricordare tutti i soprusi loro fatti in quanto donne: 
donne prede di guerra, donne violate per spregio, donne ricattate da una società maschilista, 
donne neglette per fare posto ai fratelli, donne usate come merce per arricchirsi, 
donne punite ed uccise solo perché cercano di essere sé stesse.

Ho ballato con loro, vicino al viburno tino in fiore,  in un ronzio di api felici, 
felici di trovare alla fine dell’inverno una fioritura così abbondante.

Mi è parso un segnale. 
Ho pensato al bilione di donne danzanti come alle api, 
tutte insieme nel cogliere anche un attimo di speranza con gioia,
 tutte determinate a far sopravvivere lo sciame fino a giorni migliori.


Ho danzato da sola con 1 bilione di donne.


mercoledì 11 settembre 2013

nell'orto



Molto, molto difficile riprendere in mano un discorso che è scivolato via come la sabbia tra le dita.
E’ un giorno di  dolore, di ricorrenze infauste, che vorrei avessero insegnato il valore di una vita dignitosa, secondo i valori di base e non quelli di mercato o della sopraffazione. Avrei tanto voluto che quelle morti fossero riscattate dall’insegnamento che il mondo poteva trarne. Invece sono state usate per portare avanti un discorso di sopraffazione, di interessi, tanto da svuotarle di senso.
Così ricomincio dal piccolo privato di un piccolo essere. Vorrei parlare del mio periodo “out”, della fatica di non perdere i contatti con una realtà che non capisco più, che non condivido, vorrei parlare della speranza di non svegliarmi più, del senso di disperazione che mi accompagna da lunghi mesi e di quel sottile filo che mi tiene ancora legata alla vita. Vorrei parlare di questo andare come i gamberi, un po’ avanti, un po’ indietro, così-così di lato, nell’attesa di un risveglio generale, che torni a dare un senso al vivere.
Durante le giornate in cui vado di lato, cerco di fare delle cose che mi leghino alla terra, alla natura. Non riesco ancora a fare le lunghe passeggiate che mi rimettevano in pace col mondo, sto nell’orto. Il mio orticello sinergico con le aiuole alte di vitalba intrecciata, dove verdure e fiori si confondono.  Accarezzo le aromatiche per avere in cambio un po’ del loro meraviglioso profumo. E contemplo le foglie una per una.
Quest’anno ho condiviso l’orto con vari animali: di una proda di insalata abbiamo fatto a metà un giovane capriolo ed io. Aveva una predilezione per la gentilina; entrava nell’orto dalla parte del bosco, mangiava e quando se ne andava, bramiva. Non ho capito se chiamasse anche gli altri alla mensa o se mi ringraziasse. Che era giovane sono sicura perché il suo era un bramito gentile e quasi sommesso, non come quello osceno dei maschi quando cercano la femmina.
Poi ho giocato a nascondino con un esercito di lumache di tutte le dimensioni.  Con loro il gioco finiva con un bel lancio nell’erba al di là della siepe di “spini” ed era stancante solo per il numero di lanci. Invece con i grilli talpa, con le nottue e con i ramarri è stata un’avventura, che spesso finiva male per loro, perché Cocca la mia cagnolina-ombra, li seccava, convinta di farmi un favore.
Per fortuna che, nonostante volesse a tutti i costi compiacermi, non ha mai superato lo schifo di addentare un rospo, così Clodoveo ha avuto il tempo di prolificare. Mi sto ancora domandando dove, perché quando eravamo in Liguria, vedevo galleggiare nel torrente i tubicini trasparenti con dentro le uova, ma qui il torrente è proprio un torrente, va in secca con la stagione calda. Per cui dove avrà messo i suoi tubicini?
Non ho mai visto tante farfalle come quest’anno, ce n’erano parecchie di vari colori, ma centinaia bianche. In certi momenti a guardare il campo davanti a casa era tutto un tremolìo di ali bianche. Chissà come mai? Anche l’orto era pieno di ali, oltre a loro c’erano un sacco di aleurodidi voracissime, di altiche, di dorifere, maggiolini e cetonie. Una grande ansia da parte mia nel cercare di distinguerle dalle ausiliarie e benedette coccinelle e crisope. Poi:  lavare via gli insetti dannosi, ucciderli o rispettarli in quanto parte di un sistema che è anche il mio?
Intervenire in Syria o no? Perché non rispettare anche nelle peggiori espressioni la loro individualità, i loro tempi di maturazione? Noi non siamo diventati democratici in tempi brevi. E poi quanto è civile questo nostro essere? Non usiamo più il sarin o la pirite, ma continuiamo a produrli per poterne trarre profitto. Dov’è la differenza?
Ora che ci sono già alcune aiuole invernali coi vari tipi di cavoli, passo il tempo il tempo a controllare le foglie una per una, lavare via le uova della cavolaia e raccogliere i bruchi della stessa.
Ogni tanto mi fa compagnia un biacco bellissimo. Ci incontriamo sempre per caso. L’altro giorno un suo giovane discendente, che aveva solo la testa colorata e due grandi occhioni, è entrato in casa. Per fortuna la mia amica, che l’ha trovato scopando il portico, non si è spaventata, così l’abbiamo messo dentro ad un barattolo per vederlo bene e poi, visto che già abbiamo un rappresentante della specie nell’orto, siamo andati a liberarlo vicino al fiume di fondo valle. Il terreno lì è abbastanza coperto dagli alberi per permettergli di sopravvivere ai rapaci.
Dopo un inverno di cornacchie (che io chiamo Totò, perché ci assomigliano proprio!) quest’estate è stata la volta di una coppia di rapaci che ha addestrato al volo e alla caccia il suo piccolo. Proprio sopra le nostre teste.

Difatti è parecchio che fra il biacco ed i rapaci, non vediamo topolini. L’ultimo è stato il topolino dal dorso rosso.  Ma questo è un altro discorso.

sabato 24 marzo 2012

lunedì 7 marzo 2011

8 marzo 2011

Oggi, alla vigilia della giornata dedicata “alle donne”, come ogni anno mi raccolgo per fare un piccolo bilancio del mio, del nostro “essere donna” in questa Società. Lo faccio come per tutte le altre feste importanti per trovarmi preparata a dare a questo giorno il giusto valore.

Anche se le origini della Giornata dedicata alle donne sono abbastanza discusse e confuse, la si può identificare con una battaglia portata avanti dalle donne comuniste nel lontano 1907, a Stoccarda, per il riconoscimento del diritto di voto esteso alle donne e caldeggiato da Rosa Luxemburg. Tuttavia l’iconografia vuole farla risalire alle tragiche conseguenze di uno sciopero delle camiciaie americane che si tenne nel 1911. Probabilmente chiuse dal proprietario, 146 donne morirono nell’incendio di una fabbrica.

Per me l’8 marzo, qualsiasi origine voglia dargli, non è un giorno di festa e non riesco a capire come possa essere vissuto in questo senso.

Mi ritornano in mente le manifestazioni dell’8 marzo di tanti anni fa, quando ancora ci si ricordava che il diritto al voto, in Italia, ci era stato concesso solo nel 1946
e ci si ricordava anche delle camiciaie morte nell’incendio a New York,
e
si gridava la rabbia di essere discriminate in quanto donne:
l’obbligo sociale di considerarsi complementari ad un uomo,
fosse esso il padre, il fratello, il marito.

Quante amiche ho avuto, cui la morte del padre ha sottratto un futuro, quando erano magari già all’Università. Laddove non c’erano risorse sufficienti a mantenere il decoro famigliare, per restringere i consumi, si ritirava dagli studi la ragazza. Si sarebbe potuto rinunciare alle vacanze, alla macchina, alla fettina, no, era compito della ragazza rinunciare al suo futuro, tanto lei bene o male si sarebbe sposata e avrebbe avuto altro da fare che esercitare una professione.

Mi ritorna in mente quando si prestavano le case al CISA, perché facesse abortire le donne, seguite da medici e non da mammane.
Sì, perché la sessualità femminile era disconosciuta anche all’interno della famiglia, se una donna rimaneva incinta era colpa sua, era lei che doveva rischiare la pelle se il marito non se la sentiva di accogliere una nuova bocca da sfamare.

Se c’erano uomini con problemi di accettazione di sé stessi nei confronti della Società, che si sentivano sminuiti dal fatto che la propria moglie lavorasse, la donna doveva rimanere a casa ed arrabattarsi per far sembrare che quanto guadagnava il marito bastasse a mantenere la famiglia con decoro.

Mi domando quante cose siano cambiate.

Ora le donne possono contare sull’assistenza ospedaliera per abortire, ma le ragioni per cui abortiscono non sono cambiate, continua a non esserci una educazione sessuale di ambo i sessi nell’età formativa, per cui giovani e meno giovani uomini continuano a prevaricare le loro compagne e a colpevolizzarle facendo pagare solo a loro lo scotto dell’imprevidenza, della non assunzione di responsabilità.

Ultimamente ho passato una mattina in un ospedale milanese, proprio nella giornata nella quale si praticavano gli aborti. Le donne erano quasi tutte poco più che bambine, immigrate, emarginate, si stringevano come tanti cuccioli, totalmente impreparate a ciò che le aspettava, timorose di ciò che non conoscevano e le uniche persone “pietose” nei loro riguardi, anche se sbrigative, erano le infermiere.

Ho visto molte ragazze lontane dalle famiglie, vivere da sole, per poter studiare, lavorare per mantenersi, precarie in tutto: lavoro, casa, amori.
Le ho viste lottare per mantenere il buon umore ed il diritto di essere considerate esseri umani con pari dignità
ed ho visto i loro coetanei continuare a vivere coi genitori perché, secondo loro non possono permettersi altrimenti con un lavoro precario. Però li ho visti non mancare una sera alla settimana al rito della birra con gli amici, alla partita al calcetto, al concerto dei loro cantanti preferiti, al week end all’estero col volo low cost, all’Apple. Lavorano anche loro, per carità, ma l’impegno non è lo stesso, spesso per le famiglie lui è il poverino che è ingiusto chiamare “bamboccione”,
la sorella, la figlia o la moglie continuano ad essere quelle “originali”, “ribelli”, che non si accontentano!

Ho visto nelle ditte, negli uffici, nicchiare di fronte all’assunzione definitiva di donne in età fertile, promuovere un uomo invece di una donna a pari merito o pari rischio!

Molte cose sembrano essere arrivate a maturazione, ma in realtà il senso si è perso per strada, sono cambiate solo certe forme, ma non la sostanza.

In questa vigilia sono un po’ triste e penso a quante donne invece di gridare il loro sconcerto, la loro non comprensione di questa disparità,
si riuniranno a mangiare una pizza e si sentiranno emancipate solo dal poterlo fare e magari dal poter andare in una pizzeria che offre uno spogliarello maschile.

Probabilmente nessuna di loro si ricorderà il nome dell’ultima camiciaia della Triangle, identificata solo pochi giorni fa, cent’anni dopo la sua morte:
Maria Giuseppa Lauletti.

giovedì 12 agosto 2010

La sindrome di Salieri




Capire la vita o viverla?

L’arco di due incontri è bastato a ripropormi il problema e a donarmi attimi di autentico stupore. Stupore inteso come godimento della vita.

Ci sono tante cose che non so fare: alcune non mi interessano e mi scivolano accanto senza tentazioni né attenzione, altre mi hanno interessato e mi ci sono cimentata, anche se con grossi limiti, ricavandone un senso di soddisfazione. Altre ancora mi hanno sempre affascinato per il contrasto tra la mia più totale incapacità di gestirle e le infinite capacità di viverle di altri.

E proprio per questa ragione queste ultime hanno sviluppato in me un’ipersensibilità, una reattività quasi eccessiva, alla contraffazione e, allo stesso tempo, una capacità di stupire e di godere delle capacità di altri.

La poesia e la musica sono due di questi campi.

Per anni sono andata a sentire poeti, ho letto poesie e mi sono odiata per la mia incapacità di provare sensazioni piacevoli laddove tutti gli altri dichiaravano di sentirle.

Per anni ho guardato vecchie lumache arrotolate su sé stesse, arrotare sgradevolmente parole in contrasto col loro essere.
Dovevo forzarmi a pensare a cercare di capire, spesso approdando al nulla.
Per anni mi sono domandata se l’unico valore di certi artisti era stato creato dall’invidia degli altri nell’immaginarli rompere i tabù del momento.

Considerazioni molto lontane dal senso della poesia.

Che pur consolandomi, nello sminuire il cosiddetto valore, non alzava certo la stima che avevo di me. Anzi, nella coscienza di un atto di incapacità, la abbassava al massimo.

Poi sette anni fa, con la celebrazione, come pedaggio dovuto, di una serata estiva di poesia, ho creduto di riconciliarmi con me stessa nei confronti della poesia .
Tranne qualche rara eccezione, nessun poeta sacro, nessun ermetismo, ma tante persone che di una vita comune sapevano cogliere l’attimo magico e porgertelo.
Nessuna fatica di comprensione: la gioia di ricevere un garbato sorriso in parole.

L’altra sera, no.
L’avvento sulla scena di una poetessa, mi ha sconcertata.
Oddio, il berlusconismo è arrivato sino a qui!

Ho osservato perplessa e vetriolesca, l’entrata di una bella donna sul palco, e quella che credevo la sua sicumera data da un paio di generazioni di potere del soldo e forse una di potere della mente.

La fronte non alta, resa bassa dalla spartizione centrale di un capello falsamente incolto. L’abito lungo falsamente virginale, mollemente adagiato su di un corpo, nel quale un filo di cellulite incomincia a sfuggire a week end in beauty farms, palesava che, sotto quell’apparenza di ragazza navigata, c’era una donna.

Il sottofondo musicale jazzistico e l’incoerenza di parole astutamente scelte nel dizionario del “mo’ vi stupisco con la mia erudizione!” mi hanno cullato in un disimpegno emozionale.

Dapprima mi sono soffermata su particolari donneschi, credo solo per contrastare l’impatto sessualmente accattivante del soggetto:
Assomiglia alla Marcegaglia. Però buona la scelta del sandalo piatto, il vestito cade fra i piedi in un modo semplicemente antico pieno del fascino della storia femminile. Certo c’è una bella differenza con il piglio da padrona o da figa di legno di certi tacchi a spillo!

Ardita la scelta del tessuto e del colore. Bianco, tessuto mollemente adagiato sul corpo. Non è certo fatto per nascondere imperfezioni. Buona la scelta dell’assoluta mancanza di orpelli. Toh, proprio questa semplicità toglie peso ai difetti e li trasforma in pregi dell’eterno femminino. Se ripenso all’accostamento di fiori di organza appuntati su abiti, dal tessuto e colori irrigiditi da falsi significati, che alcune donne sono riuscite ad infilarsi con inamidata ostentazione.
Eh, che abisso!

Ogni tanto tento di ritornare alle parole.
La poetessa (?) le porge con forza accompagnandole con una gestualità plateale.

Seguo i suoi passi avanti ed indietro:
ogni tanto si porge, ogni tanto si ritrae, come il mare, mai di lato.

Seguo le mani: ha atteggiamenti drammatici. Ma non sono scontati.
Le osservo meglio e finalmente capisco che fanno: attua, non so quanto istintivamente e quanto abbia studi alle spalle, le tecniche più antiche per favorire l’energia, il prana.
Una volta capito è facile seguire i suoi gesti: non è melò,
è in contatto con l’universo.

Le parole continuano ad avere un senso oscuro, per fortuna il suono del sax, del basso, del piano e non ultimo della batteria le tengono agganciate al presente, perché le “sue” emozioni mi rimangono lontane, oscure.

Poi la sonorità ed il ritmo incominciano a prendermi.
Senso, senso dammi un senso perché possa seguirti!
Non c’è; sono elucubrazioni tese a creare un sofisma, una masturbazione mentale!

Cerco tra i chiari e gli scuri evocati, tra l’incalzare delle parole,
il fiato sospeso,
un gran senso di appagamento nella ricchezza del tutto.

Poi il silenzio. I battimani, gli inchini da diva.

Ecco ho scoperto cos’è una “diva”.

Una sua esibizione è un’antica operazione di marketing. Ho capito perché, in epoche diverse, quando queste operazioni non erano inflazionate da ciarpame mediatico, alcuni potevano perdere la testa e la fortuna nel tentativo di catturare un semplice atto di attenzione di una “diva”.

Frastornata ed incantata,
come mi ritrovo quando all’improvviso cessa il vento tra gli alberi,
nel foyer ho dato sfogo alla mia sindrome di Salieri e
ho risposto tout court,
con immane stronzaggine,
a chi mi domandava che ne pensavo:
Una notevole presenza scenica!

martedì 15 settembre 2009

Spazi


Spazi. Spazi disordinati in testa.
Cuore di vetro, troppo solo e fragile per rimanere esposto.
Chiusura come risposta a chiusura.
Silenzi.

lunedì 9 marzo 2009

Giornata difficile!

L’8 marzo è stato sempre, nella mia storia di donna, e nella storia di tutte le donne una giornata difficile.
Una di quelle giornate fraintese, dove quasi quasi più che al sistema maschilista ne voglio a quelle donne che festeggiano la loro pretesa indipendenza in pizzeria, adorne di mimosa a guardare un coglionazzo che fa lo strip tease .
Passati gli anni dei collettivi, dove le donne si mettevano a nudo per crescere insieme ed insieme portavano in piazza il loro dolore, i loro diritti e le loro rivendicazioni di parità, pur nella specificità del loro femminino.
Quest’anno
ho deciso di dedicarlo ad una persona che ha sempre disapprovato questo mio essere donna consapevole:
sono andata al cinema con mia madre.
Speravo che capisse, attraverso un mezzo da lei più amato del colloquio con altre donne, quanto poco c’era per tutti della felicità da lei tanto sbandierata nella società ante ’68. Speravo che potesse fare una serena (vista l’età) analisi dei suoi tempi di giovane madre, giovane sposa piccolo borghese e
provasse finalmente una scintilla di perplessità verso quel tipo di società che annullava le donne.
Speravo potesse provare un briciolo di empatia per una donna che, non da sola, si badi bene, ma insieme al suo uomo, progettava una vita “viva”.

L’ho portata a vedere Revolutionary Road.

La visione del film la deve aver turbata molto, perché incurante degli sguardi biechi degli altri spettatori, non ha finito un momento di stropicciare un giornale che aveva in mano.
Quando è finita la proiezione, il suo commento è stata veramente l’ultima drammatica scena del film:
“oh, ma che matta, non era mai contenta di niente, non sapeva nemmeno lei quel che voleva! L’attrice è brava ma mi è antipatica ”.

Da quel momento, ho pensato che veramente noi donne abbiamo un bel fermarci a pensare al nostro essere donne in questa società.

Ogni anno, una cadenza fissa di riflessione, riflessione sulla prevaricazione, la disparità di trattamento, i diritti negati, ma fino a che ci rifiuteremo di “guardare” alla nostra imbecillità, consentiremo ad una società maschilista e guerra-fondaia di plagiarci, di prevaricarci, di abusarci.
Fino a che non avremo occhi per guardarci, orecchie per ascoltarci, bocche per parlarci e cuore per amarci,
riempiremo le pizzerie e basta, con buona pace dei cosiddetti “benpensanti”.

sabato 31 gennaio 2009

Come nasce un progetto?



Nasce da un’idea, che si insinua nei pensieri di tutti i giorni.

Prima vagamente, poi, sempre più spesso, ciò che ti accade intorno ti riporta lì a quell’idea di fondo, ma con un’angolazione in più, una tessera che va ad aggiungersi alle altre, per formare un’idea più complessa ed articolata.
Le idee in merito si agglutinano o esplodono a seconda delle circostanze e del momento nelle quali le analizzi o le proietti come soluzione.
Ti sembra che tutto ruoti intorno a quest’idea e allora incominci ad ordinarne le possibilità di sviluppo: in orizzontale, in verticale, in bianco, in nero, in mille modi.
Il pensiero non è mai statico: ha alti e bassi, si allarga e si restringe, prende forme e peso diversi, matura in te, lo senti vivere di vita propria.
E quella, che in partenza, pareva solo un’idea, magari un po’ balzana o utopica, si articola e diventa un progetto:
il tuo progetto.
Il progetto per vivere la vita futura che, dal momento che hai un progetto, sembra tanta, anche se hai sessantanni e più!
È un parto! Mesi di proiezioni, di dubbi, di domande, mesi di cadute sui vari problemi che vengono evidenziandosi, mesi di speranze che rinascono dietro ad un’altra ideuzza nuova, ad un lampo di chiarezza.
E una volta provi a chiederti
“Perche?”
e analizzi le risposte che ti dai da solo, poi le analizzi insieme a qualcuno di fiducia, poi insieme a qualcuno che pensi abbia più sale in zucca.
Ti gasi, ti smontano, fanno ostruzionismo, demordi, poi svicoli e riprendi coraggio perché qualcuno aveva gli occhi sognanti mentre lo esponevi.
Poi passi alla domanda successiva
“con chi?”
Bella domanda, hai una vita di coppia che non vuoi far scoppiare. Quelli della tua età sono smagati, hanno solo una progettualità di tipo redditizio spinto e già collaudato oppure giocano già in rimessa.
“quando?”
Stessa trafila con in più la remora dell’età, dei tempi di realizzazione, la sensazione sconvolgente che devi prendere un treno al volo e non sai se ti basteranno le forze o se finirai sotto le ruote. Sai che più aspetti, più scemeranno forze e possibilità di farcela, per cui devi osare anche se stai giocando al buio e da solo. Tentazione intermittente di lasciar perdere, per quieto vivere, e voglia di provare, costi quel che costi!
“quanto?”
La vita ti ha insegnato che per riuscire, che tu abbia un euro o un milione, che costi zero o una cifra, devi fare bene la prima mossa, sai che devi innescare il volano, che basta partire, poi adagio adagio le cose vengono.
Così torni a lambiccarti il cervello ….. da dove inizio?

Il progetto, appunto, è come un parto, vita che incomincia!
Il mio progetto … non vedo l’ora che si completi!



mercoledì 21 gennaio 2009

martedì 6 gennaio 2009

Befana!


Sta finendo questa strana e nevosa giornata dedicata alla “befana”.

Tutti ne parlano come l’ultima festa del "bengodi", una festa caratterizzata dalla generosità di una vecchia, che per fortuna viene solo una volta l’anno, perché nei secoli si sono ingegnati a rappresentarla sempre più brutta, in modo che nessuno sia tentato di seguirla in cielo sulla sua scopa. Ma questa, per me, questa è sempre stata
una splendida giornata dedicata alle donne,
e finalmente, quest’anno anche la RAI si è ricordata (purtroppo solo nello spazio dedicato alle donne), di parlare di loro come forza di base, forza generatrice, forza che ne custodisce il senso.

Io sono nata alla fine della seconda guerra mondiale, alla fine di un delirio che non ho mai capito, posso solo rifarmi al ’68, grande tentativo di rivoluzione politico-sociale, trasformatosi in tragedia perché gli uomini non sono capaci di dialogare, di ascoltarsi, di costruire insieme.

Le donne del ’68 hanno avuto il coraggio di chiedere, pretendere che gli uomini rimanessero da parte, hanno parlato, si sono ascoltate, hanno cercato di capirsi e loro sì,
loro una rivoluzione l’hanno fatta!
E anche se gli uomini hanno cercato di svilire il lavoro delle donne, prendendole in giro, denigrandole, rinnegandole, cercando di dividerle, le donne nel ’68 hanno fatto l’unica rivoluzione incruenta del ‘900, quella che ha portato ad un cambio di costumi, di mentalità, di leggi e l’unico sangue sparso per questa rivoluzione è stato solo il loro, perché, come sempre, uomini timorosi di perdere un potere qualsiasi hanno ucciso donne, anche solo perché queste avevano un’idea di riappropriazione di sé stesse, della propria dignità, del proprio diritto a vivere secondo loro natura e non solo “per graziosa licenza di un uomo qualunque”.

Gli uomini hanno cercato di cancellare il culto della Dea Madre per le loro religioni di potere e di sangue, ma le donne hanno saputo tenerne vivo lo spirito, hanno continuato la loro silenziosa e proficua opera, ed ogni anno, perpetrando il culto della Befana, perpetrano quello della Terra, della Dea Madre e, anche se tutti i media continuano a cavalcare l’istituzione della Befana per spingere a volere e a comprare sempre di più, rimane il fatto che la Befana è donna e che solo le donne hanno saputo portare avanti un culto nel quale la bellezza e la forza bruta non sono alla base del successo.
La Befana ha sopportato da bellissima di diventare brutta,
da donna-di-sapere di diventare una vecchina curva,
la Befana non brandisce spade,
non cavalca destrieri fumanti,
la Befana cavalca una scopa ed elargisce doni piccoli piccoli.

Ciao Befana, te ne vai dopo avermi ridato forza e speranza per un altro anno di lotte, di gioia, di amore…

venerdì 7 novembre 2008

laurea

dammela, dammela, dammela
questa non la strappo!

martedì 7 ottobre 2008

Biŏun o del vivere

Simbiosi = forma di vita associata fra individui di specie diversa, con beneficio reciproco.

Ci sono persone che non conoscono il meraviglioso significato della parola simbiosi.

Sono persone spesso dai modi molto gradevoli, ma che hanno il potere di vivere degli altri invece che con.
Assomigliano un po’ ai parassiti, organismi che vivono a spese di altri organismi, spesso riducendone la qualità, fino a sopprimerla del tutto.
In genere queste persone non agiscono con malignità, ma instancabili succhiano, assorbono idee, energie, pensieri. Arrivano ad appropriarsi anche delle esperienze di vita, dei ricordi, delle amicizie, nella illusione di avere una vita propria.
Si insinuano in qualsiasi tessuto degli organismi-ospitanti e spesso questi lasciano fare, per quieto vivere, forti del fatto che ciò che è veramente proprio è facilmente condivisibile.
Ma alcune specie di parassiti non sono proprio così inoffensive!
Primo: viene a mancare lo scambio cellulare. Vengono tolte sostanze cellulari, ma mai rimpiazzate o affiancate da altre che ridiano vita all’organismo. Il rinnovo cellulare è conditio sine qua non per la vita. Secondo:i parassiti possono allargare la loro sfera d’azione. Come fossero simbionti, agiscono all’esterno, col materiale degli organismi ospitanti. Azione che sarebbe anche sopportabile, se la loro struttura non gli avesse impedito di recepirlo nel modo giusto e se non lo spacciassero per proprio. Per cui, fuori, si avrà un vago e deformato riflesso del materiale originale che andrà ad inquinare i rapporti tra gli organismi-ospitanti e l’ambiente e, di conseguenza, brucerà loro ogni possibile forma di sviluppo compensativo all’esterno.
Se poi i parassiti hanno, una ancorché vaga coscienza del loro stato larvale come individui, ecco che ci sono le complicanze date dai vari sensi di inadeguatezza e di rivalsa. E così, quello che poteva essere un modo, un po’ infantile ma costruttivo, di incamminarsi sulla strada della simbiosi, si trasforma in una lotta alla distruzione subdola, continua, totale.

Mi sorge una domanda: ma che faranno alla morte degli organismi-ospitanti, si trasformeranno in saprofiti?
Non sarebbe più facile, formativo e gratificante, sviluppare una propria personalità e procedere ad una vita in simbiosi, partendo dalla coppia preferenziale alla società in senso più lato?

venerdì 12 settembre 2008

Oggi: GRAZIE!

GRAZIE
a Curzio Maltese per la chiarezza del suo odierno.
Vorrei che tutti i giorni una voce pubblica dicesse forte ed altrettanto chiaro a chi di dovere:
fate, dite, qualcosa di sinistra!
GRAZIE
allo sconosciuto che mi suggerisce di analizzare che senso ha il ritorno del ritorno.
Mi sta rendendo più cosciente di due delle tante anime che mi fanno vivere.
GRAZIE
ad Alessandra, che lotta contro le beghe degli speculatori che vogliono annullare la sua azienda.
Lotta e riesce a ridere ancora serenamente!

domenica 27 luglio 2008

Sotto il cielo di Col d'Antico


Una notte una donna salì lungo il filo d’argento della sua anima nel cielo stellato e lì perdutamente s’innamorò di Oreion.
Desiderò ardentemente vivere con lui fra le stelle, le sue, le più belle.
Venne l’alba e lei tornò sulla terra, dove, al risveglio, trovò su di una collina un uomo che, con sua grande sorpresa, scoprì essere un cacciatore, la versione solare di Oreion.
Tornò la donna allora alla notte stellata e cercò le timorose Pleiadi, che del desiderio e della crudeltà d’Orione erano morte.
Chiese a loro consiglio.
Le cantarono il rimpianto della paura che le sopraffece, del diniego che scatenò la crudeltà di Oreion.
La donna pianse commossa per la loro e la sua stessa sorte.
Ma ecco che un frullare d’ali la riscosse, le Pleiadi, quali dolci e timide colombe si posavano sulle sue mani dicendole “fa che l’uomo guidi Rigel a te, fa che ti doni Alnitak e Anilam e Mintaka e quando Betelgeuse e Bellatrix saranno sul tuo capo, noi tutte risplenderemo in te”
La donna con un unico abbraccio le raccolse nel suo cuore.
Tornò sulla terra e chiese al cacciatore di portarle Rigel in un mattino solare, ed in una notte buia Alnitak, Anilam e Mintaka.
E quando lui, spontaneamente e con serenità le pose Betelgeuse e Bellatrix sul capo, in cielo, finalmente all’unisono ed inseparabili, vibrarono Orione e le Pleiadi, ed una gran pace scese lungo la corda d’argento ad avvolgere l’uomo e la donna.
Che così vissero felici e contenti tanti e tanti anni ancora.

domenica 20 luglio 2008

sensazione sconcertante


Ho la netta impressione che qualcosa di molto importante mi stia sfuggendo.
Non so se ho un problema oggettivo o soggettivo.
Per cui non so se lasciare che le cose vadano da sole o se debbo agire per intervenire.
Il cuore e la mente irrazionale mi dicono di reagire, di provare, lottare se necessario. Il cosiddetto buon senso comune suggerisce di fare la cosa più facile.
Ma vale la pena di fare solo la cosa più facile?
Ho già passato ¾ della mia vita a fare le cose che il buon senso comune suggerivano e riservando al mio cuore ed alla mia “personale” mente spazi molto esigui.
Il risultato non mi piace affatto!
Non è che il bilancio sia tutto in negativo, ma certo è che non ho ottenuto né capra né cavoli. Né tanto meno questa arrendevolezza a favore del cosiddetto buon senso mi ha portato ad avere una sicurezza compensativa nel futuro. Anzi, ho la certezza di non avere nessuna sicurezza nel mio futuro! Ho una giovane amica che riunisce in un blog perle di saggezza sulle meravigliose possibilità di godere la vecchiaia (un mare di esempi edificanti), ho trovato molte tesi a sostegno di una mia decisione, peccato non poterle usare che a livello di parole: la vecchiaia si costruisce da giovani!
Io in questa mia vecchiaia mi sento come quando vado in albergo: la stanza può essere bella o confortevole, avere una bella vista ed un buon servizio in camera, ma non è la “mia” stanza e, come finisco i soldi, me ne devo andare. Una stanza in albergo può essere meravigliosa solo se è un momento di passaggio tra una casa ed un’altra, un’apertura sul mondo dell’inusuale!
C’è un valore nella coppia, che sta nell’unità creata dalla complementarietà degli individui, dal “sogno” comune, dalla capacità di “concedere” sé stessi e dalla possibilità di farlo in assoluta fiducia. Non sempre è realizzabile, ognuno di noi ha la tendenza a perpetuare schemi di sopravvivenza infantili, per cui se non c’è una sovrapponibilità degli schemi si verifica quello che gli inglesi definiscono, semplicemente ed onomatopeicamente, “a struggling on”.
Così io, dopo aver dato tanto valore all’essere nel cuore e nella mente, ora non sono più nessuno.
Certo non disconosco tutte le cose che ho fatto, ma sicuramente rimpiango di aver assecondato troppo le persone che ho amato. Questo non ha dato certezze né a loro, né tanto meno a me.
E così ora che, come direbbe la mia amica, sto nella meravigliosa età della piena coscienza, io una coscienza appagante ce l’ho solo in minima parte e non so proprio quanto sia meravigliosa!
A questa età si incomincia a sentirsi più vulnerabili, sai che le forze non ti assisteranno quanto le esigenze della vita, che avrai bisogno di essere tutelato oltre le tue capacità, sai anche che non sei riuscito a costruire una coppia o una società che lo faccia, così ti senti inquieto e non sai che fare degli ultimi barlumi di forza: resistere strenuamente o lasciarsi andare?
Ho un sogno che senz’altro serve al mio cuore ed è un’eredità che posso lasciare alle mie figlie, forse servirà anche alla sopravvivenza del domani.
Che faccio?
Lotto per tenerlo o faccio, per l’ennesima volta, quello che vogliono gli altri, sperando che mi garantisca un pochino oltre l’oggi?
È veramente difficile decidere.

sabato 31 maggio 2008


E' tempo di sambuchi fioriti. Bianche ombrelle che illuminano i rigogliosi alberi da fosso. Alberi generosi ricchi di storie che vengono dalla notte dei tempi e che ci rinnovano ogni anno i loro doni. In questa stagione si raccolgono i fiori per farne vino spumante per puerpere, sciroppi per addolcire l'acqua e leggerissime frittelle.

Torno con la mente a Fargneta, una casina in mezzo al bosco nell'orvietano, dove con le bimbe andavamo lungo il torrente a raccogliere fiori di sambuco per preparare gustose merende di frittelle.

Ricettina veloce: preparare una pastella piuttosto liquida con 100 g di farina, dell'acqua gasata (o meglio ancora del vino bianco spumante) ghiacciata, un pizzichino di sale, un zic di lievito. Raccogliere dei fiori con un pezzetto di gambo, capovolgerli e scuoterli per eliminare eventuali animaletti. in una padella scaldare dell'olio di girasole o di sesamo. Tenendoli per il gambo, passare i fiori nella pastella e tuffarli nell'olio ben caldo. Toglierli, posarli su carta da cucina, spolverarli di zucchero prima di servirli belli caldi. Buon appetito!

martedì 27 maggio 2008

Primo


Questo è il primo post, frutto del lavoro con Karin e Gigi.