mercoledì 27 gennaio 2021





 

Shalom Rita

 

 

 

 

Uscirono dal bosco affaticati. L’ultimo tratto era stato particolarmente difficile, scivolavano sul crocchiante tappeto di foglie morte. La bruma sbrindellata tra i rami, sembrava ingigantire ogni rumore ed i loro respiri affannosi sembravano dilatarsi e permeare il bosco. Ogni tanto si fermavano, il fiato sospeso, per controllare che nessuno li seguisse. Poi riprendevano l’erta ed il faticoso arrancare. Erano due uomini, una donna e due bimbi. Gli uomini portavano i bimbi legati sulla schiena ed avevano una valigia per mano, la donna stringeva al petto una borsa. Il cappellino di feltro, battendo ai rami, ogni tanto le si metteva di traverso e la donna, puntigliosamente, si fermava appoggiava per terra la borsa e se lo sistemava.

Uscirono dal bosco su di un coltivo, al di là, tra alberi di fico ed un meleto, si intravedeva nella semi oscurità una casa.

Qualcosa si mosse. Si bloccarono atterriti. Spuntò un uomo, che fece col capo un cenno in direzione della casa e avanzò verso di loro seguito da un giovanottello e, alla spicciolata, da tre ragazze. Vennero loro incontro guardinghi.

Prima ad allungare le braccia per prendere uno dei bimbi fu una ragazzona, con una grossa treccia dorata girata intorno al capo. Poi l’uomo prese l’altro bimbo. Il giovanotto dopo aver loro rivolto un mezzo sorriso li oltrepassò e proseguì nel bosco.

Quando entrarono in casa una donna, che era accanto al fuoco si girò, vide i bambini ed in silenzio stese una coperta sulla cassa della legna accanto al camino, poi aiutò ad adagiarveli e, con gesti pratici ed amorevoli, li ricoprì coi lembi della coperta.

Nessuno parlò. Non avrebbero saputo che e come dirsi di tutta quella paura, della fatica, dell’amore che li aveva raggrumati da due punti tanto distanti dell’Europa.

Loro erano scesi lungo quel filo di speranza e di solidarietà che guidava i perseguitati verso la terra promessa. E qui avevano trovato rifugio da chi i patimenti della povertà li provava da sempre. Una povertà che nulla toglieva alla dignità, alla capacità di donare, di condividere, di amare.

 

 

Qualche anno prima il marito della donna col cappellino di feltro, il Professor Radete, era stato ospite di un collega nel perugino, per analizzare degli studi compiuti in parallelo nelle loro rispettive Università.

Tornando a casa, aveva raccontato alla famiglia delle dolci vallate umbre, dei boschi, della gente schiva, ma cortese e le lunghe chiacchierate invernali, quando la famiglia si riuniva dopo cena, erano state inframmezzate dai suoi entusiastici racconti sull’Italia.

All’inizio del conflitto, il Professore fu prelevato da sconosciuti in clinica e di lui, né la moglie, né i fratelli riuscirono più a sapere niente.

Poi fu la volta della cognata in visita ai due figli in un collegio tedesco, anche loro sparirono senza lasciare traccia. A quel punto la famiglia si radunò e fu deciso di tentare di raggiungere la Palestina per vie diverse, in gruppetti ed in tempi diversi.

Partirono prima i vecchi con la famiglia di una figlia.

Ruth, la signora col cappellino, decise di rimanere coi due figli ad attendere il marito, nel caso fosse tornato. Rimase anche Gore, il cognato più giovane e scapolo, che si sentiva in dovere di aiutarla. E poi, dopo aver accompagnato a La Spezia in Italia, gli suoceri e gli altri congiunti tornò anche Samuel.

Che con il violino in spalla e le foto della moglie e dei due figli in tasca, faceva avanti e indietro dalla Germania, nella speranza che i suoi fossero presso qualche conoscente.

Quando la situazione era precipitata, anche il loro gruppo aveva deciso di partire verso il sud, volevano cercare di scendere a trovare un imbarco in Grecia, ma qualcuno nel Montenegro riuscì a fargli capire che Albania e Grecia erano anche più pericolose dell’Italia.

Così, trovato un imbarco clandestino, giunsero a Fano.

Si diceva che gli alleati stessero per liberare Ancona, così si ricordarono dei racconti del Professore e decisero di raggiungere Perugia ed attendere lì gli alleati prima di avventurarsi per La Spezia, dove stavano approntando la seconda nave comprata dalla comunità ebraica.

Ritrovarono la villa dove era stato ospitato il professore, ma era chiusa e tutto sembrava abbandonato. Nottetempo entrarono in un padiglione estivo. Una giostra settecentesca, giaceva inclinata su di un lato, i cavalli di legno, dai decori sbreccati, erano sparsi qua e là. Gli uomini si sistemarono a dormire in un grosso cigno, la donna ed i bimbi in un cocchio dalle marocchinerie consunte e strappate. E finalmente tutti sognarono.

Non stranamente, tutti ebbero come filo conduttore, la voce del professore che raccontava loro della villa fuori dal vecchio borgo, con il parco, i padiglioni, les jeux d’eau ai cancelli ….

Si svegliarono con la sensazione che qualcuno li stesse spiando. In effetti il fattore, che abitava non lontano dalla villa, li aveva scorti la sera prima. Non c’erano dubbi, era gente che stava scappando, da chi e da cosa non avrebbe saputo dire. Ma erano tempi bui, c’era tanta gente che scappava, non conveniva fare domande.

Sulle prime aveva pensato di allontanarli subito, poi aveva deciso di parlarne a sua moglie. Avevano tentennato tutta la notte, non si parlava di ospitarli e cercare di nasconderli, ma tanto meno si poteva fare finta di niente, la tenuta era troppo scoperta ed appetibile, ed essendo poi proprietà di una famiglia ebrea, troppe persone la controllavano.

Loro non potevano mettere a repentaglio la loro di famiglia. Però: “ anche ‘sti poveracci hanno con sé due creature”, disse la moglie. Così avevano risolto di sfidare la sorte e dargli il tempo di  riposare e rimettersi in marcia nuovamente col buio verso un rifugio più sicuro.

Il fattore aveva avvolto in uno straccio una forma di pane e mezza caciotta ed ora, con il fagotto sotto il braccio, li osservava dalla soglia del padiglione. Come si mossero, si avvicinò loro ed incominciò a spiegargli che non potevano rimanere lì, che era troppo pericoloso.  I cinque lo guardavano, sembravano non capire, ma i loro sguardi invece di essere spaventati, sembravano fiduciosi, la donna trasse dalla borsa una foto e mostrandogliela indicò l’uomo che era ritratto tra lei ed i bambini. Il fattore guardò distrattamente, poi più attentamente: lui quell’uomo lo aveva già visto, già era il professore ungherese che era stato ospite del padrone … gesummaria, questi erano ebrei! Dovevano assolutamente andarsene, provava a ripetere, ma il risultato non cambiava. Allora fece loro cenno di mangiare, di fare silenzio e di non uscire. Appoggiò delle pagliarelle ai vetri del padiglione ed, uscendo, delle assi alla porta.

Prese la bicicletta e si recò al borgo. Nei pressi della torre abitava una studentessa che aveva aiutato il suo padrone ed il professore ungherese a riordinare gli appunti. Era una ragazza serena, cortese.

Il giorno che la famiglia del padrone era partita per l’America, lei era venuta a salutarli, abbracciava la signora ed i bambini, trattenendo a stento il pianto. Per questo il fattore pensava che di lei ci si poteva fidare, non l’avrebbe tradito. Così, fingendo di portarle della verdura, la pregò di recarsi al padiglione e di spiegare a quegli stranieri, lei che conosceva le lingue, che non era possibile che rimanessero lì. Le disse che probabilmente erano famigliari del professore ungherese.

La sera, quando raggiunse il padiglione,  la ragazza aveva già preso accordi con degli universitari partigiani che avrebbero aspettato il gruppetto fuori dal borgo e poi li avrebbero accompagnati sui monti fino  alla brigata San Faustino.

Erano proprio i famigliari del professore, li aveva visti in foto. Si presentò e anche loro la riconobbero nelle parole del professore. Spiegò loro le ragioni del fattore e cosa aveva organizzato: di raggiungere Perugia non se ne parlava, stava partendo una colonna di fascisti scortata da repubblichini, in Toscana scorazzavano tedeschi in ritirata e titini fuggiti da un campo di concentramento. C’era troppa sorveglianza e tensione in giro. Più saggio risalire un po’ l’Appennino verso Bocca Trabaria e stare calmi fino all’arrivo degli inglesi.

Attese con loro il calare delle tenebre e poi li accompagnò all’incontro con i due ragazzi, i quali li caricarono su un furgone e facendo la strada a fari spenti li portarono fino ad un costone sopra Montone, dove terminava la strada ed  iniziavano i boschi fitti delle valli del Carpina. La Brigata era impegnata altrove.

Attesero un po’, stava quasi per albeggiare quando furono raggiunti da quattro uomini armati, che dopo aver parlottato con i ragazzi, fecero loro cenno di seguirli.

Camminarono fino a che non fu proprio chiaro, poi gli uomini fecero loro cenno di distendersi sulle foglie secche e di mettersi vicini, vicini. Li coprirono con delle frasche e si allontanarono.

Loro non avevano neanche voglia di guardarsi negli occhi, si aspettavano un colpo in testa da un momento all’altro. Solo Gore incominciò sotto voce a raccontare una favola ai bimbi. La sua voce sciolse piano piano i nodi di paura e la stanchezza fece il resto, i bimbi si addormentarono. Gli adulti rimasero con le orecchie tese, fino a che non udirono lo scarrocciare di un carro e l’ansimare dei buoi che arrancavano non lontano da lì. Poi il frusciare delle foglie che si avvicinava e qualcuno tolse le frasche, erano gli stessi uomini di prima, che fecero loro cenno di seguirli.

Poco oltre un dosso, il bosco era attraversato da una carrareccia e lì li aspettava un carro pieno di fascine. Quando lo raggiunsero l’uomo che lo guidava scese e velocemente insieme agli altri spostò le fascine, li aiutò a sdraiarsi sul fondo del carrettone e li ricoprì. Un veloce saluto ed il carro ripartì. Viaggiarono per tutto il giorno, verso le cinque, col buio che calava, dopo aver attraversato infiniti boschi e tagliato varie carrarecce il carro si fermò, l’uomo spostò le fascine e fece loro cenno di scendere. Scesero tutti ammaccati e doloranti. Erano su di un’aia circondata per tre lati da una casa bassa. Porticine davano su antri scuri, da cui proveniva la puzza di animali. Davanti all’unica porta in cima a tre scalini c’erano una coppia con dei bambini che sbirciavano da dietro i genitori. La donna scese andò dinanzi alla spaurita signora col cappello e le disse qualcosa che lei non capì, allora indicò gli uomini che si erano messi in fila contro un muro a fare pipì e le fece cenno di seguirla. Entrarono in una porcilaia e la donna indicò la canalina di scolo, poi uscì. La signora si mise la borsa sotto il braccio, disse al bimbo più grande di farla lì ed aiutò il piccolino. Poi si guardò intorno e dopo aver messo la borsa in braccio al bimbo grande ed aver ordinato loro di mettersi sulla porta a faccia in fuori, senza spostarsi, finalmente la fece anche lei.

Quando uscì gli uomini stavano fumando una sigaretta, Samuel fece cenno di rollargliene una, ma lei, visto lo sguardo della contadina, disse di no e seguì la contadina dentro casa. Quasi dentro al camino era seduta una donna vecchia ed incartapecorita. La contadina prese da una credenza delle fondine le portò al camino e traendo con un ramaiolo la zuppa dal paiolo incominciò a riempirle, le appoggiava davanti agli uomini che entrati si erano seduti sulle panche intorno al tavolo. Poi servì la vecchia ed i bambini, tese una scodella a lei ed una la tenne per sé. I bimbi mangiarono seduti sulle ginocchia degli zii e le due donne in piedi accanto al fuoco. Appena finito di mangiare la contadina passò i piatti con uno straccio. Poi  portò Ruth insieme ai bimbi tutti in una grande camera e le indicò un letto singolo. Sistemò i suoi figli nell’altro lettone e si infilò nel letto anche lei. Quasi nessuno si era spogliato. La signora tolse ai figli i cappotti ed i calzoncini, lei si tolse il cappotto, la gonna e, stringendosi al petto il figlio piccolo, si infilò nel letto testa piedi come la contadina con i suoi figli. Sentiva gli uomini di là cercare di parlare, poi sempre più rare le parole cessarono del tutto e il contadino entrò in camera e s’infilò nel letto di fianco alla moglie.

La mattina i vetri erano ghiacciati, si alzarono tutti infreddoliti ed andarono in cucina. I cognati che avevano dormito sulle panche avevano già riattizzato il fuoco e la vecchina aveva messo nel paiolo del latte di pecora. Le donne ed i bimbi bevvero un po’ di latte e mangiarono un pane basso comparso misteriosamente da sotto la cenere. Gli uomini intinsero il pane in mezzo bicchiere di vino cupo. Poi ripartirono tutti a piedi dietro il contadino. Dopo un costone ed un paio d’ore di cammino il contadino li arrestò, tese l’orecchio, cambiò leggermente direzione e si diresse verso un rumore sommesso di fuoco e di voci. Vicino ad un torrente, in una piccolissima radura, c’erano una capanna, un grosso cumulo di terra che fumava e due uomini che parlavano mentre attizzavano un focherello.

I carbonari diedero il benvenuto al contadino e squadrarono il gruppetto che si portava appresso. Quando videro i due bambini, tagliarono da un pezzo di carne secca triangolare due fette di lardo e lo misero su di una gratella al fuoco, tirarono fuori da una sacca due pezzetti di quel pane basso lo tagliarono a metà e ci infilarono il lardo croccante. Bastò un cenno della madre, perché i bimbi li prendessero e addentassero con gusto. La madre e gli uomini mangiarono il solito pezzetto di pane intinto in due dita di vino. Fumarono una sigaretta e  ripartirono.

Uscirono dal bosco e percorsero una lunga valle alla fine della quale c’erano un mulino e due case. Quando arrivarono in vista delle case uscirono diversi uomini armati, che, vedendoli, chiamarono qualcuno all’interno della casa, che uscì ed andò loro incontro. Mano a mano che si avvicinava ebbero l’impressione che fosse diverso dagli altri uomini tutti neri con gli occhi scuri e non molto alti. Questo era biondo con gli occhi chiari  ed era un bel po’ più alto degli altri. Come fu loro davanti si presentò: apparteneva ad un gruppo di paracadutisti inglesi scesi in una valle poco più in là per preparare l’arrivo del grosso delle truppe. Spiegò loro che erano stati portati lì, perché in quel mulino si trovava fino al giorno prima una profuga ungherese, che parlava bene l’italiano e che avrebbe potuto aiutarli. Purtroppo il giorno prima, mentre loro erano già in viaggio, era stata arrestata a Gubbio. Quelli della brigata erano andati a prendere lui, perché spiegasse loro la situazione e li spostasse altrove, visto che lì potevano arrivare i tedeschi da un momento all’altro.

Disse loro che quella era una banda mista di partigiani italiani e slavi e che, dopo una breve sosta, lui ed uno del posto li avrebbero accompagnati in cima al monte dove, quasi certamente nessuno li avrebbe trovati. Dovevano rimanere lì per qualche giorno, il tempo per lui di cercare un contatto per Roma.

Loro si guardarono spaventati, erano stanchi, non volevano andare a Roma, a La Spezia la comunità ebraica stava allestendo una nave per la Palestina, gli dissero, comunque si rassegnarono a seguirlo. I bambini erano distrutti, così con dei canapi e degli stracci i due uomini si legarono nuovamente i nipoti sulle schiena e proseguirono il cammino.

Fecero, preceduti dall’ufficiale inglese e seguiti da un partigiano umbro armato di moschetto, la salita più ripida della loro vita. Per fortuna era quasi tutta in mezzo alla macchia, al coperto, ciononostante ogni tanto si fermavano per tendere l’orecchio. Gli unici rumori che captarono erano i passi leggeri e brevi di qualche selvatico.

Il cielo incominciava a scurirsi, si era alzata una specie di nebbiolina che li bagnava e rendeva tutto scivoloso. All’altezza di un cimitero di campagna l’ufficiale inglese li aveva salutati, da lì alla loro meta finale mancava poco e a quell’ora era difficile che i tedeschi girassero da quelle parti. Lui invece doveva camminare ancora due ore in un’altra direzione e doveva passare un posto strettamente sorvegliato dai tedeschi, per cui era meglio si separassero. Raccomandò loro di non muoversi da quella casa fino a che non fossero tornati lui o la signora ungherese a prenderli.

Il partigiano col moschetto si mise in testa al gruppo e proseguì ancora per tre kilometri, poi all’imbocco di un sentiero si fermò e fece loro cenno di proseguire. S’incamminarono mentre lui, dopo averli osservati imboccare il sentiero, prendeva a scendere tagliando i pascoli per un altro verso. S’impensierirono non poco, visto che a detta dell’inglese avrebbe dovuto accompagnarli fino alla nuova destinazione.

Ormai la sera era calata quasi del tutto, quando spuntarono sulla radura e l’uomo venne loro incontro.

La vista dei giovani che lo seguivano, soprattutto delle ragazze li rassicurò ed, entrando, le cure amorevoli dalla donna grande li confortarono.

<Rita> disse la donna < sono Rita, sinte>

La casa era ancora più spoglia della prima e lì, accanto al focolare, c’era un vecchio che armeggiava con pezzi di legno, sgorbia e pezzi di pelle di pecora. Sì girò e fece loro un sorriso ammiccante alzando timido un pugno chiuso.

Nel paiolo bolliva una minestra di erbe di campo e patate. Rita, indicò alla donna e ai bambini un grosso sacco di iuta. Quando vi si sedettero, sprofondarono in un crocchiare di foglie di mais, che divertì molto i bimbi.

Cavandola da sotto la cenere, tirò sul tavolo una grossa ruota di pane impolverato, la prese col grembiale e strofinò via la cenere, poi dopo averla nuovamente battuta sul tavolo la divise a pezzi con le mani. Cominciando dal vecchio ne tirò uno in grembo ad ognuno. Porse loro una grossa ciotola di legno piena di minestra, disse qualcosa che Ruth non capì, ma le fu facile comprendere che c’erano un’unica ciotola ed un unico cucchiaio per lei ed i suoi figli, lo stesso era per la donna e le sue figlie.

Il vecchio, dopo qualche boccone, passò la sua ciotola al figlio e questi al nipote, un’altra ciotola fu data a Gore e Samuel. Mangiarono in silenzio. Nella stanza aleggiava un bel po’ di paura, ma anche un pizzico di ribellione, di fatalismo e di gioia. Così quando il saccone crocchiava, i bimbi ridevano e il vecchio, Rita e Gore sorridevano della loro spensieratezza. Messo il fuoco sotto le braci insieme alla ciotola per il figlio che doveva ancora tornare, Rita e le figlie si coricarono intorno al focolare su altri due sacconi. Il vecchio e gli uomini scesero nella stalla sottostante, avrebbero dormito sul fieno, vicino alle mucche.

La mattina dopo Ruth e Samuel fecero preparare il loro gruppetto speranzosi di proseguire, ma Nello, il ragazzo che era tornato nella notte con le direttive della Brigata, disse che avrebbero dovuto aspettare lì fino a che a La Spezia non fosse stata pronta la nave che doveva portarli in Palestina. Poi i partigiani avrebbero provveduto a fargli passare il territorio umbro e toscano e li avrebbero consegnati ai compagni di Carrara che li avrebbero portati al campo di raccolta per l’imbarco. Samuel sapeva che i soldi per la seconda nave erano già stati raccolti, perché dovevano aspettare ancora tanto tempo, che era successo?

Così … così …. così, come facciamo a rimanere qui per un tempo indefinito? Si domandarono Ruth, Samuel e Gore. Guardavano intorno: il vecchio, Rita, le sue tre ragazze, il marito, il ragazzo, sembravano fare loro stessi una gran fatica a sopravvivere. La fatica del ragazzo di spiegare agli stranieri gli ordini aveva permesso anche ai suoi di capire a cosa andavano incontro e anche loro ora guardavano il gruppo di stranieri con sgomento.

Fu il vecchio, per cui il pugno aveva un valore, abbastanza nuovo e nello stesso tempo antico, che allungò una mano, aprì bene le dita, e le richiuse a pugno mettendolo in mostra.

Si rivolse a Rita e disse: “non possono andare per boschi così,  farò loro degli zoccoli.” “sì pa’, ma..” rispose abbassando il capo e cercando di non guardarli “so quasi ‘gnudi e per il mangiare..?” “mmm, proprio tu lo dici, c’è sempre un rimedio per tutto! Voi andate al bosco” ordinò agli uomini.

Samuel e Gore parvero capire e si predisposero a seguire Gostì e Nello. Ruth invece si vide persa, che avrebbe fatto? doveva badare ai bimbi, continuare a farli studiare, riempirgli la pancia e coprirli. La prima e l’ultima cosa le sembravano le più difficili.

Nella loro fuga, avevano adagio, adagio eliminato tutti i libri, avevano solo un simulacro dei rotoli delle Torah, perché dov’è la Torah, là è casa. Qui non sembrava esserci la possibilità di trovare neanche della carta ed una semplice matita. E gli abiti? C’erano quasi cresciuti dentro in questi ultimi mesi di fuga e non erano adatti alla montagna. Lei poi, aveva solo quello che aveva addosso. Era scappata con le scarpe con la zeppa e le calze di seta arrotolate alle caviglie. Il cappottino corto avvitato ed un cappellino. La borsetta sotto il braccio e nella borsa di ritagli di cuoio, che usava per la spesa aveva infilato i ricambi per i bimbi ed erano usciti come al solito: forse delle compere, forse delle visite …  nella borsetta, oltre ai documenti solo un fazzoletto. I cognati, che si erano mossi la notte prima, avevano infilato nelle valige due coperte, un telo cerato e dei viveri.

Tutto lì, la Palestina era calda ed erano attesi, i Balcani li avrebbero attraversati durante l’estate e a La Spezia tutto sarebbe tornato alla normalità. Invece eccoli, al sopraggiungere dell’inverno, in montagna con la prospettiva di rimanerci chissà quanto!

Chinò il capo e nascose il volto tra le mani. “Dai, non serve disperarsi, tra il babbo ed il mio uomo, troveranno il modo …” le disse Rita e uscì. La ragazza con la treccia le prese il bimbo piccolo e messoselo a cavallo di un’anca, usci anche lei. Rita prese per mano il bimbo più grande e uscì anche lei.

Una fila di vecchie pietre conficcate ritte ed allineate nel terreno delimitava un orto, le due donne stavano lavorando lì. Lei proseguì oltre un campo e si addentrò in un bosco di castagni. Incominciò a raccogliere ricci e ad ammucchiarli ai piedi di una pianta. Il bimbo la imitò e così tra la raccolta e l’osservazione delle erbe, si dimenticarono entrambi l’angoscia di poco prima e si godettero la bella giornata autunnale.

Ad un certo punto la fame si fece sentire, Ruth cercò bacche e foglie commestibili e riuscì a fermare un po’ lo stomaco del figlio. All’altro, sperò, ci avrebbero pensato le donne nell’orto.

Quando il sole incominciò a calare rientrarono tutti in casa, il vecchio aveva preparato degli zoccoli per Ruth, erano caldi e stabili. Ruth poté dire addio ai sandali con le zeppe di sughero tutte rotte. Samuel era stato bravissimo nel cercare di tenerglieli insieme, ma il sughero si sfaceva e lei continuava a prendere storte. Passarono così alcuni giorni, che sembrarono loro di riposo, anche se i sensi erano sempre all’erta, la fame tanta, il freddo avanzava, mentre la possibilità di imbarcarsi a La Spezia sembrava sempre più lontana.

Una sera, si sentì un richiamo da fuori e fu aperta la porta, entrò ratto un uomo con un involto: “son due coperte, per farne dei cappotti, l’inglese a detto che so’ mezzi ‘gnudi.” Disse porgendolo a Rita.

“Che si dice giù?” chiese il vecchio.

“che hanno visto la Marion al San Marco col Federale ed un tedesco.”

“Ma chi?”

“dei mulari di Pian di Balbano, che l’hanno detto a uno che scendeva a Morena”.

“e ora?”

“si starà a vedere”.

Gli uomini rimasero tutti zitti. Il sospetto del tradimento metteva più paura della certezza di uno scontro.

Ruth, Samuel e Gore, pur senza capire, avevano captato l’allarme, la paura. In cuor loro speravano di veder comparire l’inglese per portarli via, verso La Spezia.

Invece la mattina presto li svegliò un rapido scalpiccio di scarponi, il vecchio uscì e parlottò velocemente con uno del gruppetto di uomini armati, che altrettanto velocemente proseguirono.

Passarono due ore, il vecchio aveva chinato il capo su un pezzo di legno che stava lavorando per farne degli zoccoli e rifiutava ostinatamente di parlare con Rita ed il marito, che cercavano di sapere cosa avesse detto quello del gruppo armato. Samuel e Gore fecero per uscire a fare legna, ma il vecchio disse a Rita di fermarli. Rimasero tutti intorno al fuoco, fermi e muti, solo Rita impastava del pane sulla madia.

Una raffica di mitra squarciò l’aria, ed il respiro rimase sospeso nella stanza. I bimbi si strinsero impauriti a Ruth e gli adulti si scambiarono occhiate preoccupate.

Il vecchio trasse un lungo sospiro e  disse:

“qualche giorno fa i tedeschi hanno preso e fucilato l’inglese”, non osava guardare gli altri, poi soggiunse “oggi i partigiani della Montebello sono andati al Molinaccio a prendere la Marion e a farla finita” scosse il capo e riprese il suo lavoro al legno.

Passarono ancora due ore nelle quali erano tanti gli interrogativi che si ponevano le persone intorno al fuoco, quando si aprì la porta e due uomini armati dissero agli ungheresi di prepararsi che li avrebbero portati via loro.

Li avrebbero accompagnati fino al contatto con una brigata più a Nord, passando per i monti sarebbero arrivati quasi a Cesena, e poi avrebbero cercato di farli arrivare a Parma e da lì per la Cisa, a La Spezia.

Rita cercò di capire per quante mani sarebbero passati, quante probabilità avevano di riuscire a raggiungere la loro nave, voleva capire per cercare di spiegare a Ruth, Samuel e Gore, per tranquillizzarli. Loro non parlavano italiano, tanto meno quello stretto dialetto dell’Appennino umbro-marchigiano, avevano paura, Ruth tremava, i bimbi erano tutt’occhi.

Samuel fu il primo a realizzare che dovevano seguire quegli uomini e cercò con parole calme, ma decise di spiegare ai suoi. Misero le loro poche cose nelle valigie, coprirono i bimbi. I partigiani li sollecitavano a sbrigarsi. Mentre Gore legava il piccolo sulle spalle di Samuel, Rita che aveva preparato un piccolo involto con della polenta fredda e delle fette di lardo, abbracciò stretta, stretta Ruth, e muovendo un dito sul palmo della mano, accennò all’atto di scrivere, puntò un dito sul petto di Ruth e poi sul suo. I partigiani stavano già uscendo seguiti da Samuel e da Gore, quando finalmente Rita sciolse Ruth dall’abbraccio.

Quando tornò il silenzio e gli uomini uscirono, Rita si rivolse al padre:

“oh ba’, ce la faranno?”

Il vecchio scosse la testa dubbioso.

 

Passarono tanti anni prima che il postino si ritrovasse per le mani quella cartolina. La girò e rigirò, veniva da Gerusalemme, era indirizzata a Rita di Sant’Angelo e portava due sole parole: shalom Rita.

Che avrà voluto dire chi l’aveva scritta e poi perché scrivere a gente che se n’era andata con la guerra, tutti fucilati per rappresaglia.

L’avrebbe data al maestro di Col d’Antico, la prima volta che l’avesse visto in paese. Il maestro l’avrebbe appesa in classe ed i bimbi di Col d’Antico avrebbero visto com’era Gerusalemme.

 

 27 gennaio 2021

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