Molto, molto difficile riprendere
in mano un discorso che è scivolato via come la sabbia tra le dita.
E’ un giorno di dolore, di ricorrenze infauste, che vorrei
avessero insegnato il valore di una vita dignitosa, secondo i valori di base e
non quelli di mercato o della sopraffazione. Avrei tanto voluto che quelle
morti fossero riscattate dall’insegnamento che il mondo poteva trarne. Invece
sono state usate per portare avanti un discorso di sopraffazione, di interessi,
tanto da svuotarle di senso.
Così ricomincio dal piccolo
privato di un piccolo essere. Vorrei parlare del mio periodo “out”, della
fatica di non perdere i contatti con una realtà che non capisco più, che non
condivido, vorrei parlare della speranza di non svegliarmi più, del senso di
disperazione che mi accompagna da lunghi mesi e di quel sottile filo che mi
tiene ancora legata alla vita. Vorrei parlare di questo andare come i gamberi,
un po’ avanti, un po’ indietro, così-così di lato, nell’attesa di un risveglio
generale, che torni a dare un senso al vivere.
Durante le giornate in cui vado
di lato, cerco di fare delle cose che mi leghino alla terra, alla natura. Non
riesco ancora a fare le lunghe passeggiate che mi rimettevano in pace col
mondo, sto nell’orto. Il mio orticello sinergico con le aiuole alte di vitalba
intrecciata, dove verdure e fiori si confondono. Accarezzo le aromatiche per avere in cambio
un po’ del loro meraviglioso profumo. E contemplo le foglie una per una.
Quest’anno ho condiviso l’orto
con vari animali: di una proda di insalata abbiamo fatto a metà un giovane
capriolo ed io. Aveva una predilezione per la gentilina; entrava nell’orto
dalla parte del bosco, mangiava e quando se ne andava, bramiva. Non ho capito
se chiamasse anche gli altri alla mensa o se mi ringraziasse. Che era giovane
sono sicura perché il suo era un bramito gentile e quasi sommesso, non come
quello osceno dei maschi quando cercano la femmina.
Poi ho giocato a nascondino con
un esercito di lumache di tutte le dimensioni.
Con loro il gioco finiva con un bel lancio nell’erba al di là della
siepe di “spini” ed era stancante solo per il numero di lanci. Invece con i
grilli talpa, con le nottue e con i ramarri è stata un’avventura, che spesso
finiva male per loro, perché Cocca la mia cagnolina-ombra, li seccava, convinta
di farmi un favore.
Per fortuna che, nonostante
volesse a tutti i costi compiacermi, non ha mai superato lo schifo di addentare
un rospo, così Clodoveo ha avuto il tempo di prolificare. Mi sto ancora
domandando dove, perché quando eravamo in Liguria, vedevo galleggiare nel
torrente i tubicini trasparenti con dentro le uova, ma qui il torrente è
proprio un torrente, va in secca con la stagione calda. Per cui dove avrà messo
i suoi tubicini?
Non ho mai visto tante farfalle
come quest’anno, ce n’erano parecchie di vari colori, ma centinaia bianche. In
certi momenti a guardare il campo davanti a casa era tutto un tremolìo di ali
bianche. Chissà come mai? Anche l’orto era pieno di ali, oltre a loro c’erano un
sacco di aleurodidi voracissime, di altiche, di dorifere, maggiolini e cetonie.
Una grande ansia da parte mia nel cercare di distinguerle dalle ausiliarie e
benedette coccinelle e crisope. Poi: lavare via gli insetti dannosi, ucciderli o
rispettarli in quanto parte di un sistema che è anche il mio?
Intervenire in Syria o no? Perché
non rispettare anche nelle peggiori espressioni la loro individualità, i loro
tempi di maturazione? Noi non siamo diventati democratici in tempi brevi. E poi
quanto è civile questo nostro essere? Non usiamo più il sarin o la pirite, ma continuiamo
a produrli per poterne trarre profitto. Dov’è la differenza?
Ora che ci sono già alcune aiuole
invernali coi vari tipi di cavoli, passo il tempo il tempo a controllare le
foglie una per una, lavare via le uova della cavolaia e raccogliere i bruchi
della stessa.
Ogni tanto mi fa compagnia un
biacco bellissimo. Ci incontriamo sempre per caso. L’altro giorno un suo
giovane discendente, che aveva solo la testa colorata e due grandi occhioni, è
entrato in casa. Per fortuna la mia amica, che l’ha trovato scopando il
portico, non si è spaventata, così l’abbiamo messo dentro ad un barattolo per
vederlo bene e poi, visto che già abbiamo un rappresentante della specie
nell’orto, siamo andati a liberarlo vicino al fiume di fondo valle. Il terreno
lì è abbastanza coperto dagli alberi per permettergli di sopravvivere ai
rapaci.
Dopo un inverno di cornacchie
(che io chiamo Totò, perché ci assomigliano proprio!) quest’estate è stata la
volta di una coppia di rapaci che ha addestrato al volo e alla caccia il suo
piccolo. Proprio sopra le nostre teste.
Difatti è parecchio che fra il
biacco ed i rapaci, non vediamo topolini. L’ultimo è stato il topolino dal
dorso rosso. Ma questo è un altro
discorso.