mercoledì 11 settembre 2013

nell'orto



Molto, molto difficile riprendere in mano un discorso che è scivolato via come la sabbia tra le dita.
E’ un giorno di  dolore, di ricorrenze infauste, che vorrei avessero insegnato il valore di una vita dignitosa, secondo i valori di base e non quelli di mercato o della sopraffazione. Avrei tanto voluto che quelle morti fossero riscattate dall’insegnamento che il mondo poteva trarne. Invece sono state usate per portare avanti un discorso di sopraffazione, di interessi, tanto da svuotarle di senso.
Così ricomincio dal piccolo privato di un piccolo essere. Vorrei parlare del mio periodo “out”, della fatica di non perdere i contatti con una realtà che non capisco più, che non condivido, vorrei parlare della speranza di non svegliarmi più, del senso di disperazione che mi accompagna da lunghi mesi e di quel sottile filo che mi tiene ancora legata alla vita. Vorrei parlare di questo andare come i gamberi, un po’ avanti, un po’ indietro, così-così di lato, nell’attesa di un risveglio generale, che torni a dare un senso al vivere.
Durante le giornate in cui vado di lato, cerco di fare delle cose che mi leghino alla terra, alla natura. Non riesco ancora a fare le lunghe passeggiate che mi rimettevano in pace col mondo, sto nell’orto. Il mio orticello sinergico con le aiuole alte di vitalba intrecciata, dove verdure e fiori si confondono.  Accarezzo le aromatiche per avere in cambio un po’ del loro meraviglioso profumo. E contemplo le foglie una per una.
Quest’anno ho condiviso l’orto con vari animali: di una proda di insalata abbiamo fatto a metà un giovane capriolo ed io. Aveva una predilezione per la gentilina; entrava nell’orto dalla parte del bosco, mangiava e quando se ne andava, bramiva. Non ho capito se chiamasse anche gli altri alla mensa o se mi ringraziasse. Che era giovane sono sicura perché il suo era un bramito gentile e quasi sommesso, non come quello osceno dei maschi quando cercano la femmina.
Poi ho giocato a nascondino con un esercito di lumache di tutte le dimensioni.  Con loro il gioco finiva con un bel lancio nell’erba al di là della siepe di “spini” ed era stancante solo per il numero di lanci. Invece con i grilli talpa, con le nottue e con i ramarri è stata un’avventura, che spesso finiva male per loro, perché Cocca la mia cagnolina-ombra, li seccava, convinta di farmi un favore.
Per fortuna che, nonostante volesse a tutti i costi compiacermi, non ha mai superato lo schifo di addentare un rospo, così Clodoveo ha avuto il tempo di prolificare. Mi sto ancora domandando dove, perché quando eravamo in Liguria, vedevo galleggiare nel torrente i tubicini trasparenti con dentro le uova, ma qui il torrente è proprio un torrente, va in secca con la stagione calda. Per cui dove avrà messo i suoi tubicini?
Non ho mai visto tante farfalle come quest’anno, ce n’erano parecchie di vari colori, ma centinaia bianche. In certi momenti a guardare il campo davanti a casa era tutto un tremolìo di ali bianche. Chissà come mai? Anche l’orto era pieno di ali, oltre a loro c’erano un sacco di aleurodidi voracissime, di altiche, di dorifere, maggiolini e cetonie. Una grande ansia da parte mia nel cercare di distinguerle dalle ausiliarie e benedette coccinelle e crisope. Poi:  lavare via gli insetti dannosi, ucciderli o rispettarli in quanto parte di un sistema che è anche il mio?
Intervenire in Syria o no? Perché non rispettare anche nelle peggiori espressioni la loro individualità, i loro tempi di maturazione? Noi non siamo diventati democratici in tempi brevi. E poi quanto è civile questo nostro essere? Non usiamo più il sarin o la pirite, ma continuiamo a produrli per poterne trarre profitto. Dov’è la differenza?
Ora che ci sono già alcune aiuole invernali coi vari tipi di cavoli, passo il tempo il tempo a controllare le foglie una per una, lavare via le uova della cavolaia e raccogliere i bruchi della stessa.
Ogni tanto mi fa compagnia un biacco bellissimo. Ci incontriamo sempre per caso. L’altro giorno un suo giovane discendente, che aveva solo la testa colorata e due grandi occhioni, è entrato in casa. Per fortuna la mia amica, che l’ha trovato scopando il portico, non si è spaventata, così l’abbiamo messo dentro ad un barattolo per vederlo bene e poi, visto che già abbiamo un rappresentante della specie nell’orto, siamo andati a liberarlo vicino al fiume di fondo valle. Il terreno lì è abbastanza coperto dagli alberi per permettergli di sopravvivere ai rapaci.
Dopo un inverno di cornacchie (che io chiamo Totò, perché ci assomigliano proprio!) quest’estate è stata la volta di una coppia di rapaci che ha addestrato al volo e alla caccia il suo piccolo. Proprio sopra le nostre teste.

Difatti è parecchio che fra il biacco ed i rapaci, non vediamo topolini. L’ultimo è stato il topolino dal dorso rosso.  Ma questo è un altro discorso.

1 commento:

sau ha detto...

che bello, leggere e poter vedere con i pensieri e con il cuore ogni luogo dove posi lo sguardo e che triste non poterti dare " quel motivo", " quel guizzo". ti voglio bene mamma